lunedì 6 febbraio 2012

Kristallnacht di John Zorn, prima parte


Disco amato dai fan di lunga data e poco conosciuto a quelli recenti, questo Kristallnacht datato 1993. Disco da rivalutare, disco da riascoltare e da rileggere per l’effetto che questo disco ha avuto sulla successiva carriera zorniana e per l’atteggiamento da lui tenuto sulla musica e sulle sue orgini ebraiche.
Siamo nel 1992 e Zorn sta vivendo un momento particolare della sua vita: la recente scomparsa del padre lo porta a rivedere il suo atteggiamento, finora di completo distacco verso a musica e le sue orgini ebraiche. Nulla di male, anzi, si tratta di una cosa piuttosto comune nel campo dell’arte, prima o poi qualunque artista sente il desiderio, l’impulso di confrontarsi con la propria storia, la propria famiglia, di mettersi alla ricerca delle proprie radici, magari di rimodellarle secondo criteri avanguardistici. Il percorso scelto da Zorn inizia con Kristallnacht per poi sfoggiare a poca distanza in quel calderone, in quel vulcano di creatività ancora inesausto che si chiamerà Masada.
Zorn non si interessa apertamente di politica, non ha la televisione, non legge i giornali, non ha una vita privata, vive la musica 24 ore per 24 per sette giorni la settimana come da lui affermato nel corso dell’intervista concessa a Bill Milkowsky di JazzTime nel maggio 2009:

“For instance, I just got off the phone with the census bureau and they asked me how many hours do I work in a week. And my answer, basically, was I work 24 hours a day. Even when I’m sleeping I’m working. I’m talking with you, I’m working. I get up first thing in the morning, the computer goes on, I’m answering e-mails. I go out to lunch, I have a discussion with someone, it’s about music, it’s about art. I go to a museum. Even in the cab I’m on the phone doing business. I’m always working. My life is making work. That’s why I’m here. People are surprised that it’s possible to get as much work done as I do. It’s very simple. I choose to work. I don’t go on a vacation. I’m not interested in that.”

e ancora:

“I’m here to help the community that nurtured me. And that’s why no TV; that’s why I don’t read magazines or newspapers. I focus on the art that I’m doing. That’s my gift for the world; that’s why I’m on the planet. I’m not a hardliner and I understand how difficult it is to survive in this world, but at the same time I think the reason I created Tzadik, the reason that the Stone had to happen, the reason that these Arcana books are coming out, the reason that I continue to create work to the extent that I do, is because I created my own avenue.”

Il suo atteggiamento è estremamente pragmatico: conta la musica, contano i fatti. Zorn non ha mai preso una posizione sulla questione arabo-palestinese, ne sull’interventismo o sulla politica di Israele. Ma la sua indagine, il suo impegno verso la musica ebraica e la sua riattualizzazione cominciano con questo disco doloroso e lacerante, dal suo desiderio di non scegliere alcuna interpretazione e di mettere in gioco il più puro realismo: la nuda e cruda verità, obiettiva, distaccata, di fronte a centinaia di ridicoli abbellimenti. In questo caso le radici sono alquanto dolorose: la Shoah, la soluzione finale messa in atto con deliberato e scientifico metodo dalla Germania nazista è una ferita ancora aperta per tutti gli ebrei, ed invocarne lo straziante ricordo costituisce un fondamentale esorcismo, un tormentato ritorno a casa.
“Kristallnacht”, presentato, fuori concorso, al Festival Art Project di Monaco di Baviera nel 1992, è lo squarcio palpitante che inchioda, in un bianco e nero corroso dalle lacrime, il momento in cui tutto ebbe, fisicamente, inizio: la Notte dei Cristalli. Migliaia di edifici, commerciali e di culto, rasi al suolo, novecento ebrei uccisi, trentamila deportati nei lager: il nazionalsocialismo si strappava di dosso l’aura di pseudo tolleranza portata con sufficienza nel periodo pre-Olimpiadi berlinesi e non aveva paura di mostrarsi al mondo, finalmente, terribile e folle. Un concept album del dolore, forse. Od uno sguardo, clinico e svuotato di ogni pianto, al quale si alternano, incalzanti ed impietosi, le chitarre di Marc Ribot, le tastiere di Anthony Coleman, il violino di Mark Feldman, il clarinetto di David Krakauer, le trombe di Frank London, le percussioni di William Winant ed il basso di Mark Dresser. L’esegesi della pazzia, vista dalla discendenza delle vittime.
Dobbiamo, per ascoltare e capire questo cd, anche noi immergerci nella storia e nel passato. Dobbiamo sapere cosa successe nella Notte dei Cristalli.





continua domani

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