mercoledì 15 dicembre 2010

Intervista con Luigi Attademo, seconda parte


Ascoltando la sua musica ho notato la tranquilla serenità con cui lei si approccia allo strumento indipendentemente dal repertorio, da con chi sta suonando, dal compositore, dallo strumento che lei adopera dimostrando sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a questo livello di “sicurezza”?

Molto spesso la sensazione che si ha all'esterno non è quella che ha l'interprete. Ricordo comunque che la questione del controllo era centrale nella mia prima fase di attività. Con il passare del tempo questa preoccupazione si è attenuata, probabilmente con la coscienza di pensare a cose più importanti. Ed è grazie a questo, penso, che si è sviluppato un maggiore controllo. E' ovvio che non si tratta di una questione solamente psicologica o mentale: l'aspetto della tecnica, intesa come tramite fra idea e gesto musicale, è centrale, così come la consapevolezza musicale.

So che lei ha studiato con Angelo Gilardino, Ennio Morricone, Enrico Fubini, Alessandro Solbiati .. che ricordi ha di loro, dei loro insegnamenti, della loro poetica musicale?

Sono esperienze molto diverse fra loro legate a diverse fasi del mio apprendistato. Con Angelo Gilardino mi sono formato: da lui ho appreso non solo un metodo di lavoro e delle conoscenze legate allo strumento, ma anche un'etica e una modalità di relazionarmi alla musica e al suo mondo. A lui devo la scoperta anche di molta musica, dei grandi interpreti e, in generale, tanti aspetti dell'arte che all'epoca mi erano ignoti. Insomma, è stato un Maestro da molti punti di vista.
L'incontro con Ennio Morricone è stato puntuale – un corso a Siena – ma mi ha lasciato un ricordo di un artista capace di filtrare le sue grandi conoscenze musicali trasformandole in un'esperienza semplice, pur mantenendo ferma la coscienza della serietà nel lavoro. Il professor Fubini mi ha seguito nella fase finale della tesi di laurea e la sua disponibilità e competenza ha significato, oltre che un grande aiuto, un esempio. Grazie ad Alessandro Solbiati sono invece entrato “da compositore” nei linguaggi della musica contemporanea. Con lui continua a esserci un rapporto di amicizia e collaborazione che ha portato alla realizzazione di diversi progetti musicali. Non voglio dimenticare una figura per me importantissima, che ha guidato i miei ultimi anni di ricerca sulla musica antica: Emilia Fadini, clavicembalista e persona di grande ricchezza che mi ha comunicato l'aspetto vitale dell'interpretazione di questa musica che nel mio passato recente, pur essendo uno dei repertori prediletti, era legata a una visione più razionale e in un certo modo distaccata.

Lei svolge una importante attività come musicologo, in particolare ha lavorato intensamente sull’archivio del grande Andres Segovia, ci vuole raccontare qualcosa di queste esperienze e che cosa ha significato per lei riuscire a ritrovare manoscritti come quelli di opere sconosciute di autori come Tansman, Pahissa, Cassadò?

Vorrei ridimensionare il mio ruolo di musicologo, non nel senso che il mio lavoro non abbia avuto validità musicologica, ma nel senso che non mi sento un musicologo ma un musicista che in assenza di musicologi si è occupato anche di questo aspetto. In generale trovo che il musicista non possa più interpretare il ruolo dell'artista inconsapevole, che pensa solo a suonare. Suonare è un'operazione complessa che – tranne quando si è bambini e la componente ludica prevale – non può essere affrontata mettendo solamente le mani sullo strumento. Riguardo alle mie scoperte, fanno seguito all'attività di ricerca che Angelo Gilardino ha svolto sull'Archivio di Andrés Segovia, com'è noto, che ho seguito nella prima parte (2001) e ho proseguito l'anno dopo sviluppando d'accordo con la famiglia un mio progetto di ricerca con il fine di catalogare tutta la musica manoscritta lì presente. Lo scopo è stato raggiunto, ma non secondo i miei obiettivi, a causa delle note vicende che hanno portato a una separazione tra la famiglia di Segovia e la Fondazione di Linares. Mettere le mani sulla musica di Segovia, quella che usava per studiare, sui suoi appunti e su molte altre cose, rappresenta un modo privilegiato per venire a contatto con una figura che non ho avuto modo di conoscere personalmente, ma la cosa è avvenuta in modo naturale grazie anche alla grande amicizia che ho sviluppato con il figlio Carlos, quasi mio coetaneo e persona di una finezza intellettuale rara. In qualche modo, ho sentito di essere parte della famiglia, per usare una frase della moglie di Segovia, anche se la cosa detta così può sembrare altisonante.

continua domani

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