sabato 29 maggio 2010

Recensione di “Electric Guitar Solo” di Mauro Franceschi, Arx Collana,


Questa recensione necessita di alcune precisazioni iniziali, chi scrive è da vent’anni fan scatenato di un chitarrista chiamato Bill Frisell. Mi sono innamorato del suono della sua chitarra alla fine degli anni ’80 quando riuscii ad ascoltare il vinile del primo disco dei Naked City, fu una illuminazione, Frisell mostrava un suono asciutto, tagliente e allo stesso tempo morbido come seta, con delle solide basi in termini di improvvisazione e di costruzione armonica e melodica. Non poteva essere diversamente, come avrebbe fatto altrimenti ad essere accettato alla corte del “Dittatore illuminato” John Zorn? All’epoca mi buttai alla ricerca dei suoi dischi solisti, alla ricerca di una conferma, con la volontà di riascoltare ancora quel suono così ammaliante. Non ne sono stato deluso, dischi come “Before we were born”, “Is that you?”, “Have a little faith”, le colonne sonore realizzate per i film muti di Buster Keaton e la partecipazione a “Masada Guitars” hanno sempre confermato una classe e una bravura eccellenti. Vederlo suonare in concerto poi, impressionante, uno non se lo dimentica un chitarrista così.
Ma che centra questo pistolotto iniziale con questo disco realizzato dall’italianissimo Mauro Franceschi? Centra, centra eccome, perché non appena si apre il cd nel retro del libretto che lo accompagna si vede una bella foto, in “relax”, di una chitarra Klein, una chitarra dalla forma inconfondibile, senza paletta e con un corpo che dalla forma ricorda quella di un pesce abissale, nera, lucida, che indovinate dove avevo già visto? Bravi, è la chitarra che suonava Bill Frisell le due volte che l’ho visto in concerto. Coincidenze? Forse, ma quando poi leggi che come effetti viene usato un Lexicon 500 e che nelle note del libretto si fa direttamente riferimento “al lavoro di Bill Frisell sul piano della ricerca timbrica come anche sul piano melodico” .. che diamine non serve Sherlock Holmes per cominciare a pensare che qui gatta ci cova. E il disco, infatti è una bomba.
Se il suono della chitarra è infatti facilmente riconducibile alle atmosfere e al chiaro scuro tipici del migliore Bill Frisell, qui le musiche suonate vanno in tutt’altra direzione, siamo lontani sia dal repertorio della downtown newyorkese sia dalla stesse idee di interpretazione dei brani stessi: in poche parole si sente che dietro a Mauro Franceschi esiste un diverso background e una diversa impostazione tecnica e interpretativa. Vediamo di chi sono le musiche che vengono qui eseguite a cominciare dal nome a me più conosciuto, Tim Brady (1956), compositore e chitarrista di Montreal, autore di due dei brani più belli del disco: "Invention #8 ... or Julie's Dance ... musica di un duetto per chitarra elettrica e danzatore caratterizzato da una trama sonora cangiante soffusa e la musica su nastro di Minimal surrace creata negli studi INNGRM di Parigi usando il sistema SYTER per manipolare suoni originati dalla chitarra elettrica.
Atle Pakusch Gundersen (1956) compositore e chitarrista norvegese, è autore di "Scintillation, brano simile ad un preludio dell'epoca romantica, caratterizzato dall’utilizzo di una tipica tecnica chitarristica denominata crosspicking, ossia l'uso in rapida alternanza di corde non adiacenti. Il suo secondo pezzo Daktylator, presenta la medesima tecnica strumentale, esplorando differenti aspetti modali e l’uso delle corde a vuoto.
Mark Howell (1952) chitarrista, compositore ed etnomusicologo newyorkese, ha fatto anche parte del Fred Frith Guitar Quartet. Cement, brano delicato e terso a dispetto del nome, è stato commissionato da American Dance Festival per Lynn Shapiro Dance Company.
Tom Johnson (1939) compositore, interprete e scrittore, è considerato un minimalista, sebbene ricorra a formule, permutazioni e sequenze non comuni alla scuola minimalista. Lascerei definire a lui stesso la sua musica Infinite Melodies Il: "La musica è infinita in molti modi. Esistono ad esempio un numero infinito di durate più lunghe di un secondo e più brevi di due secondi. Possiamo intonare una corda di violino in un numero infinito di toni e microtoni. E le possibilità di intonazione della voce umana, se vogliamo considerare porzioni infinitesimali, sono evidentemente maggiori di quelle di una corda di violino. Le Infinite Melodies lo sono nel senso che possono, e dovrebbero, propagarsi per un tempo infinito. Questo perchè si sviluppano secondo un processo logico che le rende eternamente cangianti."
Steve Mackey (1956) compositore, chitarrista e docente presso la Princeton University è l’autore di "Cairn” (un tumulo di pietre, usato per segnalare il luogo di una sepoltura) e di Grungy, pezzo allegramente rock, dal suono carico e distorto, un irrrestibile invito per fare “air guitar”.
Last but not least: Loren MazzaCane Connors (1949) è chitarrista e compositore newyorkese, forse il vero outsider di questa lista. Confesso che questa versione di Moonyean rappresenta per me il pezzo migliore del disco, la sua vena blues, il senso di attesa, la sospensione racchiusa nei suoni che escono dalla chitarra di Franceschi lo rendono un pezzo di grande atmosfera, lontano da certi narcisismi in cui, a volte, cade la sua musica.
Davvero un gran bel disco, se cercato un punto di partenza da cui iniziare l’ascolto della chitarra elettrica nella musica contemporanea non rimarrete affatto delusi. Tanto meno lo sarà chi ama Bill Frisell.

Empedocle70

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