domenica 21 febbraio 2010

Recensione di “1.05” di Chaque Object, objective records

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Dewey: “ Le opere dell’architettura stanno alle montagne come le opere musicali stanno al mare”: la musica è il medium ideale per esprimere lo svolgimento, “i mutamenti drammatici che hanno luogo sullo sfondo più duraturo della natura e della vita umana”.

Iniziamo bene. Due chitarre: Adolfo La Volpe e Pablo Montagne. Vittorio Gallo e Francesco Massaro: due ance, saxes e clarinetti. Tutti: oggetti vari.
Si capisce subito che non si scherza, niente ammiccamenti o sorriseti furbi: una cascata di feedback chitarristico, bianco, a 30° sotto zero, con i fiati sopra a disegnare blocchi di suono atonale. Guerra, contrasto, dinamica, aggressività ma anche interpolazione, Don De Lillo: gente che non suona musica improvvisata ma che improvvisa musica, e la distinzione non è semplice semantica.
Granito sonoro, musica come forma sonora animata, la pura esteriorità del suono e ancora la forma come suo principio di organizzazione estetica, l’idea della musica non solo come forma d’arte, ma quello di una forma particolare di esperienza estetica. Un’esperienza simile a quella dell’ascolto di un triplo cd fondamentale come “The sign of four” di Metheny e Bailey, solo che qui al posto dei due batteristi ci sono i fiati, un quartetto che gioca a tutto campo con le proprie regole che però non sono note all’ascoltatore che cerca invano di tracciare delle coordinate geografiche in cui orizzontarsi, fino a quando si deve rinunciare e cedere, abbandonandosi al flusso di suoni e rumori che arrivano alle sue orecchie come ondate su una spiaggia deserta, portando con se ciottoli, conchiglie, detriti. L’ennesima dimostrazione che nulla di quello che può essere espresso in musica può essere espresso con altri linguaggi, la sua esperienza ci apre universi di pensieri e di affetti in attingibili dagli altri linguaggi. Universi che restano preclusi a chi non ha la chiave di accesso, o, meglio, a chi non la vuole cercare.

Empedocle70

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