martedì 15 aprile 2008

Speciale Corrado Sfogli: Intervista di Esposito Titti parte prima


Titti Esposito: Come nasce l’amore di Corrado Sfogli per la chitarra classica?

Corrado Sfogli: E’ una domanda che mi porta piacevolmente indietro nel tempo di circa quarant’anni e, mi rendo conto in questo momento, che parliamo di un qualcosa rimasto ben impresso nella mia memoria ma che non avevo mai raccontato in pubblico. In quel periodo abitavamo a Portici. Ricordo che lungo la via che facevo per recarmi a scuola c’era un negozio di strumenti musicali e io ero estremamente attratto da… una tromba. Si, io ragazzino sognavo di avere in dono una tromba e mi incantavo vicino a quella vetrina dove in bella mostra erano esposti vari modelli.
A tale richiesta, mio padre, pensandoci un po’ su, mi disse che la tromba forse era un tantino “esagerata”, un po’ troppo rumorosa, e in sostituzione mi regalò la prima chitarra: una EKO con corde in metallo.
Quindi è più giusto dire che in me inizialmente è sbocciato l’amore per la musica in genere, tanto è vero che volevo essere un trombettista.
Poi incominciai a strimpellare la chitarra, passavo ore e ore con lei, e ascoltavo spesso per radio un duo chitarristico brasiliano: gli Los Indios Tabajaras. Sai, c’era un loro brano, Maria Elena, che cercavo di imitare…
Allora mi fu proposto di iniziare a studiare seriamente questo strumento; accettai e così iniziò il mio percorso con il maestro Eduardo Caliendo
.

T.E.: Massimo dei voti con lode in Conservatorio e corsi di perfezionamento con illustri Maestri: pur essendo un architetto la chitarra ha segnato il tuo cammino.

C.S.: Si, in realtà io sono laureato in architettura. Mio padre, preside di un Istituto d’Arte, era architetto e aveva un grosso studio; dunque anche per una forma di rispetto nei suoi confronti decisi di laurearmi in questo settore.
Seguii il corso di studi direi brillantemente e mi fu proposto di fare l’assistente di Tecnica delle Costruzioni all’Università di Napoli dal professore Ugo Carpiti. Alla fine però optai per la musica. Certo influì molto l’occasione che ebbi in quel periodo di entrare all’interno della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Penso di essere stato fortunato perché ho avuto l’opportunità di poter scegliere, di scegliere la musica,la chitarra, cosa che purtroppo i giovani di oggi difficilmente possono fare.

E.T.: La tua collaborazione con l’orchestra del Teatro San Carlo di Napoli… ce ne parli?

C.S.:Fui chiamato come chitarrista per Il barbiere di Siviglia in cui c’è una parte, la Cavatina, dove il tenore canta accompagnato dalla chitarra. Si trattava di circa venti rappresentazioni.
In sostanza è stata un’esperienza molto bella perché ho vissuto come parte integrale dell’orchestra e ho potuto apprezzare così l’estrema professionalità di tutti i componenti. In particolar modo ricordo una pianista bravissima, Lucia Tramontana, che era in grado di leggere di tutto. Figurati che una volta fui costretto a mancare ad una rappresentazione e lei sostituì subito le parti di chitarra con il cembalo.

E.T.: C’è poi anche un Corrado compositore davvero molto bravo. Come nasce un brano, cosa ti ispira?

C.S.:Dire compositore è forse una parola troppo grande, faccio ciò che posso.
Cosa mi ispira? In verità non lo so dire o meglio ci possono essere delle situazioni, dei fatti che vivi, delle storie che leggi, delle immagini, degli odori…

E.T.:Le emozioni, dunque?

C.S.: Si, le emozioni, le emozioni ti possono ispirare.
Ho scritto poi dei brani anche per solo chitarra che a volte sono nati così… ti trovi qua, ti lasci andare senza pensare a niente e vengono fuori delle cose particolari.


E.T.:Quindi in maniera molto istintiva, immediata?

C.S.:Esatto. Questo vale per tutte le cose che ho scritto , e ne ho fatte tante, anche per la Nuova Compagnia, che non sono solo di strumento ma anche legate alla voce, al testo e quindi alla musica popolare che è un mondo che mi ha sempre affascinato.

E.T.: Sappiamo che sei stato autore anche di musiche di scena di spettacoli teatrali e di quelle di un film. Quali differenze hai riscontrato nel comporre per due generi così diversi?

C.S.: E’ vero, ho scritto musica anche per il teatro però diciamo che non è l’attività che preferisco perché sei obbligato… non sei mai libero.
Faccio un paragone un po’ azzardato, che non centra assolutamente nulla con me, ma che può rendere il senso. Beethoven, ecco… con Le creature di Prometeo, musica nata per rappresentare un balletto, non ha mai ricevuto una critica estremamente positiva perché, in quel caso, ha dovuto assoggettare la sua musicalità, la sua genialità, e Beethoven era un genio, ad un’azione teatrale.
O certe cose nascono assieme o diventa molto complesso andare ad inserirsi.
Per il cinema il discorso è in po’ diverso, creare delle musiche di sottofondo che accompagnino le scene è forse un tantino più semplice. Con il teatro no, sei inevitabilmente legato ai tempi, al movimento, all’azione millimetrica che si svolge sul palcoscenico
.

E.T.: So che hai collaborato con artisti quali Gianna Nannini, Pino Daniele ed Angelo Branduardi. Quanto hai recepito da questo tipo di esperienze.

C.S.: Inevitabilmente gli artisti riescono sempre a recepire un qualcosa da ciò che li circonda. Le esperienze fatte con Pino oppure con Gianna Nannini certamente mi hanno offerto la possibilità di conoscere il mondo poetico di altri personaggi e ciò finisce col divenire un arricchimento ed entrare nel tuo bagaglio culturale. Con Branduardi è stato forse un qualcosa di ancora più forte; con lui ho fatto circa sessanta concerti in tutta Europa. Angelo è una persona amatissima all’estero, in Germania soprattutto, e mi ha colpito molto la sua maniera di porgersi in palcoscenico. Un’esperienza veramente interessante, dunque, perché per essere artisti, poi, non bisogna soltanto essere bravi e saper fare le cose, ma è fondamentale sapersi anche dare, avere un carisma, saper trasmette. Ci sono dei musicisti bravissimi, tecnicamente “impressionanti”, che suonano in modo incredibile ma che non hanno grosse capacità comunicative e che, quindi, in scena, non riescono a creare con il pubblico quel feeling indispensabile a connotare un artista.

E.T.:Nel long play “La chitarra nella tradizione popolare” suoni musiche di Brouwer, Ayala, Cardoso, Paco De Lucia…

C.S.: Lo studio della musica di tradizione fa parte del mio bagaglio culturale e quindi sono andato a scegliere ed inserire in questo progetto brani in cui la chitarra era influenzata o ispirata da temi popolari. In effetti, brani come quelli di Paco De Lucia, fanno parte del folklore, della musica popolare andalusa, e hanno tutto un loro mondo e un loro fascino da esprimere.

Grazie alla tua estrema disponibilità offriamo allora ai nostri lettori l’ascolto di una tua composizione: Mare nostrum


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