mercoledì 5 marzo 2008

Ungaretti, Leopardi, ovvero... come si smonta e si rimonta il giocattolo

Nota Pier Vincenzo Mengaldo che ‘lascia perplessi il tentativo di ricostruire sistematicamente misure tradizionali sottostanti ai versicoli de L’Allegria (1). E cita l’esempio dei versi:
Sorpresa
dopo tanto
d’un amore
che formano, ad una lettura continuata, un endecasillabo. ‘Tutt’al più, continua Mengaldo, si potrà riconoscere all’immanenza memoriale dei versi della tradizione un ruolo di avvio genetico, e alla loro compresenza virtuale al sillabato ungarettiano un effetto di contrappunto ritmico, stilisticamente pertinente..’. Discorso che mi pare assai ragionevole e stimolante, anche se, per la verità, il concetto di ‘immanenza memoriale’ dei versi della tradizione, nella sua funzione di ‘avvio genetico’, può essere riferito a qualsiasi tentativo sperimentale sul piano metrico e ritmico. Per usare le parole di Lubomir Dolezel, comunque ‘i mutamenti paradigmatici devono esser considerati entro il quadro della continuità storica’ (2). Una controprova? Cerchiamo di guardare le cose .. dall’altra parte, dalla parte delle radici, invece che della pianticella appena sbocciata. A proposito della poesia di Giacomo Leopardi, si può infatti azzardare un procedimento in qualche modo inverso a quello tentato –appunto- da alcuni critici con la metrica ‘franta’ de L’Allegria. Là si trattava di ricomporre un presunto tessuto metrico sottostante ai versicoli di Ungaretti; qui, per usare le parole di Mario Fubini ‘è pur da notare come quei versi stessi che abbiamo nominato settenari ed endecasillabi vengono a comporre ritmi nuovi’ (3). Prendiamo ad esempio l’Infinito, laddove ‘le pause sintattiche in mezzo al verso, gli enjambements, gli iati, le elisioni metricamente necessarie e pure poeticamente non avvertite danno al discorso un’articolazione in unità minori che sembrano compromettere l’endecasillabo tradizionale’:
E come il vento
odo stormir tra queste piante
io quello
infinito silenzio
a questa voce
vo comparando
e mi sovvien l’eterno
e le morte stagioni
e la presente
e viva
e il suon di lei
Non si può ipotizzare in questa scansione ritmica così libera e così fluida un precedente, neanche tanto lontano, della metrica ungarettiana?
Il processo che porta Leopardi a ‘compromettere’ le forme metriche tradizionali trova forse la sua più chiara manifestazione nella lirica ‘A se stesso’. Il canto si snoda attraverso un movimento ritmico rotto e dissonante, che spezza l’unica strofa libera in brevissimi membri sintattici separati. Ecco l’esempio di una possibile scansione molecolare del canto:
Or poserai per sempre
stanco mio cor
Perì l’inganno estremo
ch’eterno
io mi credei
Perì
Ben sento
in noi di cari inganni
non che la speme
il desiderio è spento
Posa per sempre
Assai
Palpitasti
Non val cosa nessuna
i moti tuoi
né di sospiri è degna
la terra
Amato e noia
la vita
altro mai nulla
e fango è il mondo
T’acqueta omai
Dispera
l’ultima volta
Al gener nostro il fato
non donò che il morire
Omai disprezza
te la natura
il brutto
poter che ascoso
a comun danno impera
e l’infinità vanità di tutto
Solo l’ultimo verso si può, anzi si deve leggere tutto d’un fiato. Prima il discorso procede a fatica, con una sillabazione lenta e spezzata. ‘Poche parole essenziali e definitive’ dice Fubini. Un’espressione che si adatterebbe benissimo alla poetica e alla metrica de ‘L’Allegria’.. o no?

Fauvel



(1) Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondatori, 1978
(2) Lubomir Dolezel, Poetica occidentale, Torino, Einaudi, 1990
(3) Giacomo Leopardi, Canti, a cura di M.Fubini, Torino, Loescher, 1971


Chi volesse curiosare..


http://www.la-poesia.it/italiani/fine-1900/ungaretti/GU_indice.htm

http://www.intratext.com/IXT/ITA1466/

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