giovedì 22 novembre 2007

Poesia e grafica pubblicitaria - Parte prima di Fausto Bottai

Com'è stato ampiamente ripetuto, lo sviluppo tecnologico determina un duplice ordine di stimoli e reazioni: da un lato sorgono discipline 'artistiche' del tutto inedite (la cinematografia per es.), dall'altro le discipline preesistenti attraversano periodi di crisi più o meno profonde e di radicale rinnovamento, dovendo rimodellare il loro 'linguaggio' tradizionale in rapporto alla nuova realtà.
Basti pensare, anche di sfuggita, al binomio pittura-fotografia, per rendersi conto delle notevoli
conseguenze che la scoperta e la diffusione delle nuove tecniche hanno determinato anche nell'ambito, un tempo gelosamente custodito, delle tecniche più antiche. Il binomio poesia-grafica pubblicitaria non si presenta forse come un campo di reciproche interferenze paragonabile a quello fra pittura e fotografia? In fondo, non è questa la convinzione dei teorici della c.d. poesia visiva? Adriano Spatola definiva attuale e inevitabile "il passaggio da una concezione ancora tipicamente letteraria della poesia a una concezione aperta" (in Verso la poesia totale, un testo del 1969). Detto in altri termini, una volta accettato 'il fatto che la semanticità si fa figurale, iconica, acquistando una dimensione plastica oltre a quella propria verbale', si ammette anche conseguentemente una perdita di autonomia e autosufficienza dello stesso fatto verbale: il testo letterario rappresenta uno degli elementi del prodotto grafico-pubblicitario, non lo esaurisce.
Naturalmente ci sono coloro che non accettano la 'riduzione' del fatto poetico e letterario ad una sorta di 'operazione da copyright'. E che rivendicano per la poesia, intesa tradizionalmente come 'canto', un suo autonomo spazio, pur ammettendo la necessità di fare i conti con le novità tecniche e ideologiche indotte dallo sviluppo dei mass-media.
Per cercare di spiegare meglio ciò che sono andato elaborando nel corso del tempo su questo argomento, ritengo opportuno riportare appunti e considerazioni svolte in varie circostanze, spesso a margine della lettura di libri e articoli sull'argomento. Non si tratta quindi di un testo in cui le varie tesi sono esposte in modo organico e coerente. Preferisco però lasciare queste pagine al livello di elaborazione in cui sono state originariamente scritte, sperando che risultino interessanti, nonostante, anzi -chissà- forse proprio in virtù del loro carattere frammentario..
Comincerò a pubblicarle, a poco a poco, nei prossimi giorni, anche perché si tratta -ahimé- di manoscritti, e quindi, per usare un termine orrido, devono essere... 'digitalizzate'. Può sembrare una bella contraddizione parlare di manoscritti oggi, soprattutto affrontando questioni che riguardano novità indotte a vario livello dallo sviluppo tecnologico.. Anzi, è una bella contraddizione! Però, che volete farci? Quando si tratta di 'scrivere' io sono rimasto fedele alle modalità proprie dell'epoca pre-moderna, riesco a concentrarmi e a produrre qualcosa solo
avendo una bella pagina bianca davanti e una penna in mano.. Neanche la vecchia macchina da scrivere... Per carità!


I-Laddove si parla della possibilità di istituire un rapporto diretto fra poesia visiva e grafica pubblicitaria - e più in generale fra testi poetici e testi pubblicitari, si fa spesso riferimento al concetto di 'slogan'. E. Gomringer (1) cita, a proposito delle sue 'Costellazioni', le istruzioni negli aereoporti e le segnalazioni stradali: si tratta di 'poemi' di estrema concisione,composti per una 'lettura istantanea'. Ciò che ha fatto pensare ad un passaggio 'dal verso all'ideogramma': si ricorda infatti l'interesse di Ezra Pound (2) per l'ideogramma cinese, considerato l'espressione di un atteggiamento mentale che tende al massimo di economia nella comunicazione delle forme verbali. Andando a ritroso, arriviamo fino a Mallarmé, considerato anticipatore di molte delle soluzioni fondamentali della 'poesia totale' (A.Spatola). Soprattutto con 'Un coup de dés' (3), dove la varietà dei caratteri di stampa e la distribuzione di gruppi di parole in diversi punti della pagina determinano la trasformazione del 'poema' in gioco visivo ('spettacolo ideografico, come lo definiva Valery). E' il momento in cui Mallarmé parla dell'importanza del bianco (che la versificazione esige come silenzio) e delle 'suddivisioni prismatiche dell'idea' collegate a un principio di 'visione simultanea della pagina'. Simultaneità che poi diviene una nozione futurista: le famose parole in libertà. E' a questo punto che Spatola parla , nel saggio 'Verso la poesia totale' (4), di passaggio 'da una concezione ancora tipicamente letteraria della poesia ad una concezione aperta'. La poesia si trasforma da 'canto'a 'messaggio': al termine di questo percorso c'è il rifiuto del verso libero, ormai considerato soltanto un alibi, una 'finta sovversione'. Viene messa in dubbio 'la sopravvivenza della parola come strumento poetico per definizione'. Questa posizione è chiaramente enunciata da K.Schwitters (5): 'Il materiale originario della poesia non è la parola, ma la lettera. Le lettere non contengono idee.. Sono.. unità alfabetiche emancipate dalla radice semantica'. Qualcuno propone un parallelo fra questa nuova concezione della poesia e l'invenzione della serie dodecafonica da parte di Shoenberg. Così facendo la poesia diventa appunto un fatto 'extraletterario', un qualcosa che ha molto a che vedere con la grafica, da un lato, e dall'altro, su un altro versante di ricerca, col suono, con la musica. A chi si ribella sostenendo che a questo punto non ha più senso parlare di poesia, i poeti sperimentali obiettano che solo i loro esperimenti 'grafici' e 'sonori' possono essere definiti 'poemi' oggi e rifiutano senza remora alcuna 'l'artigianato, la discorsività e la metafora che trasformano la poesia del nostro tempo -contrassegnato dal progresso tecnologico e dalla comunicazione non verbale- in un anacronismo'. Bisogna che la nuova poesia vada al passo coi tempi 'in esatta consonanza con il bisogno della nostra civiltà di un messaggio che sia il più possibile rapido e diretto'. Dice Gillo Dorfles (Le oscillazioni del gusto): 'In un periodo come l'attuale di continuo e dinamico divenire non c'è più tempo per la staticità dell'ascolto e per la revenzialità della contemplazione. Occorre immagazzinare presto e bene -o magari presto e male- le immagini che il mondo ci offre prima che abbiano perso il mordente e si siano dileguate nel nulla' (6).Dal mito futurista della velocità all'ansia, all'assillo, all'ossessione di 'fare in fretta', di usare il 'massimo di economia' nell'elaborare'messaggi', perché non c'è tempo da perdere, pena la certezza di vederli naufragare nel vuoto.. Viene di pensare ad una sostanziale acquiescenza, ad una supina accettazione di un modello di cultura e di vita sociale che pure molti definiscono insensata. Ma non c'è solo questo... In realtà, a partire dall'epoca delle avanguardie storiche, il rapporto fra arte e mondo delle macchine, dell'industria e dei mass-media è vissuto in modo meno conflittuale che durante l' '800, o almeno così sembra; ma, al di là dell'apparenza, non è tutto così semplice e scontato. Certo, se ci riferiamo ai futuristi, ad es., possiamo parlare senza dubbio di una impostazione estetica (e poetica) che in fondo 'rovescia' la tradizionale posizione di condanna nei confronti della civiltà delle macchine, propria, come sostiene T. Maldonado (7), tranne rare eccezioni, a tutti gli artisti del XIX secolo: 'le macchine erano considerate dei mostri capaci solo di generare altri mostri'. Solo sul finire del secolo, si va facendo strada una concezione 'meno nostalgica del passato'. Alcuni artisti cominciano a convincersi della necessità di affrontare la sfida dei tempi nuovi, e si fa largo 'l'idea che i mostri possano essere addomesticati, appunto per mezzo dell'arte'. Sono sempre parole di T.Maldonado. I futuristi rappresentano ovviamente la punta più estrema (ed estremista) di questo complesso 'movimento', il cui fine era 'di portare l'Arte all'Industria, come in modo un po' astratto e vago si usava dire nei primi decenni del secolo'. C'è un saggio di E.Zolla (Eclissi dell'intellettuale) che per altro esprime un netto rifiuto dell'industrialismo e una condanna senza appello della avanguardie storiche, in cui tali temi sono esaminati in modo, a mio avviso, illuminante (8). 'L'avanguardia' dice Zolla 'ricalca assai bene la realtà che essa accetta (...), ne fornisce una rappresentazione diretta, una radiografia'. L'uomo di J.Joyce è l' 'abitante comune della metropoli, con le sue associazioni gratuite, sfruttate dalla pubblicità, con la mente alla mercé dell'industria culturale; la pittura astratta parimenti rappresenta il mondo reale delle strutture d'acciao (..) e prende atto della sparizione della figura umana entro la struttura'. In fondo sono le stesse parole che altri pronunciano (hanno pronunciato e possono pronunciare) rivendicandole come un titolo di merito delle avanguardie! Al contrario, Zolla scrive: 'Le trovate si susseguono: come i bambini storpiano le parole così gli avanguardisti sfruttano le sculture negre, i disegni infantili, le decorazioni copte. Nella letteratura si giunge ad una disintegrazione della parola oltre che della frase; se non si ha in dono l'ignoranza, cioè nel caso di Pound e Joyce, si riprende l'atteggiamento dello studente riottoso, si fanno parodie della cultura, si gioca con essa come fosse un accozzo di frantumi sconnessi, e non parola di vita..' In definitiva Zolla rimprovera all'avanguardia il suo carattere buffonesco, di cui rivela, al di là dei conclamati intenti dissacratori, la sostanziale 'accettazione del reale', cogliendo in questo soltanto l'intento apologetico. 'L'industria culturale assorbe rapidamente le trovate, i tic degli artisti d'avanguardia, proprio per il loro intimo legame con il reale'; nello stesso tempo la massa solo in apparenza si ribella all'arte d'avanguardia, poiché è disposta ad accettarla non appena diventi prodotto industriale: piatto, scarpa, cartellone, film. In definitiva 'a dispetto d'ogni loro illusione gli artisti d'avanguardia lavorano per l'industria: per farlo debbono spezzare il legame con il passato, o cavarne l'essenza, che è un modo per uccidere'.

Fausto Bottai

(1) http://it.wikipedia.org/wiki/Eugen_Gomringer
(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Ezra_Pound
(3) http://it.wikipedia.org/wiki/Stéphane_Mallarmé
(4) http://it.wikipedia.org/wiki/Adriano_Spatola
(5) http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Schwitters_Kurt
(6) http://it.wikipedia.org/wiki/Gillo_Dorfles
(7) http://www.mediamente.rai.it/HOME/BIBLIOTE/biografi/m/maldonad.htm
(8) http://it.wikipedia.org/wiki/Elémire_Zolla

Nessun commento: