venerdì 30 novembre 2007

Poesia e grafica pubblicitaria - Parte seconda di Fausto Bottai

II- In realtà, una visione così unilaterale della storia e del ruolo delle avanguardie mi sembra, a dir poco, ingenerosa.. D'altra parte lo stesso Zolla attenua in parte la perentorietà del suo giudizio affermando che 'nei casi più seri essa (l'avanguardia) fu effetto di angoscia, di accettazione tremante e, nei limiti in cui lo fu, poté dare opere che in realtà manifestavano il rifiuto'. Già! Il fatto è che il termine 'accettazione del reale', che egli rinfacciava agli avanguardisti, può essere letto secondo una diversa accezione: quella che privilegia l'acquisizione degli elementi critici e conoscitivi necessari per decifrare il reale e che rappresentano l'ineliminabile 'conditio sine qua non' di ogni possibile intervento, o tentativo di intervento, sul reale.. In verità, la linea di demarcazione fra apologeti e contestatori (fra apocalittici e integrati, per dirla con Umberto Eco) (1), non divide gli artisti d'avanguardia da quelli (quali?) tradizionali, passa ben al di dentro dei movimenti d'avanguardia, anzi più in generale dell'intero mondo della cultura. E nessuno, volente o nolente, può chiudere gli occhi davanti alla realtà, quella delle macchine, delle moderne metropoli, dei mass-media. Dice Spatola, nel libro già più volte citato: 'Il trionfo dei mezzi di comunicazione di massa coincide forse con un aumento dell'impotenza delle arti, ma può anche rappresentare il banco di prova delle loro capacità di rinnovamento'. Senza dare troppo peso al.. 'forse' molti hanno creduto in quella 'capacità di rinnovamento' e si sono gettati nella battaglia. Cominciando comunque col prendere atto della nuova situazione in cui il 'poeta' è costretto a muoversi: egli infatti si trova di fronte a una realtà già 'scritta' , cioè 'a un mondo coperto di segni, e il suo lavoro consiste ormai quasi soltanto nella utilizzazione a fini estetici di questo repertorio illimitato'. Parole che definiscono perfettamente il termine 'bricoleur': a partire dalla famosa ricetta dadaista di T.Tzara (2), non si contano i poeti che hanno adoperato materiale verbale riciclato, tratto da giornali, riviste, cartelloni pubblicitari e quant'altro, incorporando, scorporando, togliendo, aggiungendo.. A.Giuliani (3) parla di 'impazienza linguistica': 'spingendo l'arbitrio fino in fondo è possibile estorcere ai frammenti ritagliati e poi incollati un riflusso di significati o di non significati, fortissime suggestioni nucleari, sicché la disarticolazione e riarticolazione del testo rivela certe costanti strutturali del nostro mondo linguistico'.
D'altra parte, l'utilizzo della tecnica del 'collage' (4) 'nasce 'dall'intento del poeta di non sottrarsi allo scontro con il mondo esterno, ma, al contrario, di operare all'interno della stessa cultura di massa tentando una promozione estetica del banale, del quotidiano, del kitsch' (5) (il vecchio sogno di portare l'Arte all'Industria!). In questo senso, il poeta è colui che contesta e capovolge di segno i messaggi delle comunicazioni di massa.. E si parla di contropubblicità, controfumetto, controrotocalco, di 'gesto che rispedisce la merce al mittente' (L.Pignotti) (6). Dunque un atteggiamento di rifiuto (verrebbe perfino voglia di definirlo 'luddistico') (7) che fa da perfetto rovescio della medaglia rispetto a quello apologetico di cui parlava Zolla. Coerentemente con questi presupposti, viene ripetutamente segnalata l'esigenza 'di far uscire la poesia dal luogo in cui si è sempre nascosta, il libro'.. Obiettivo? quello 'di incontrare senza mediazioni un pubblico che non faccia parte né del club dei lettori specializzati né del clan degli addetti ai lavori'. Quindi una ricerca di spazi nuovi, di pubblici diversi, 'di una diversa collocazione prospettica rispetto alla scena urbana'. Ancora una volta il tema centrale è quello del rapporto concorrenziale-conflittuale con i mass-media. Dice ancora Spatola: 'la dimensione concorrenziale non è più interna all'ambito letterario, ma in un rapporto esterno con la presenza dei mass-media'; e ancora 'la soluzione formale dovrà essere sempre in qualche misura antitetica rispetto ai linguaggi visivi codificati, perché soltanto la differenziazione dal paesaggio iconografico esistente permetterà la sopravvivenza del messaggio'. In definitiva, 'la nuova poesia vuole sostituirsi ai mass-media, tentando di rovesciare il rapporto che le elites tecnologiche hanno instaurato con il pubblico, con i fruitori e che tende all'omologazione, alla standardizzazione, a forme di accettazione acritica del messaggio'.
Che dire? Queste cose sono state scritte nel 1969.. c'è molto dell'ideologismo 'ingenuo' di quegli anni in questo voler 'spezzare il cerchio chiuso' per cercare e 'provocare' il fruitore nel suo stesso ambiente, utilizzando una grammatica 'capace di agire sulla coscienza dell'uomo, di esaltarne il ruolo critico..'. Oggi, possiamo affermare che gli esiti pratici di questi pur nobili intendimenti non sono certo stati incoraggianti. I mass-media sono saldamente in mano a soggetti che certo non mostrano molto interesse per l'esaltazione del ruolo critico dell'uomo.. Standardizzazione, omologazione, conformismo hanno raggiunto livelli spaventosi e disperanti.. I poeti sperimentali si sono spinti fino al limite del suicidio nel tentativo di adeguarsi allo spirito dei tempi, hanno accettato di 'sostituire sempre di più la parola con l'immagine, che risponde meglio alle esigenze di una comunicazione immediata', hanno accettato la sfida combattendo sul terreno dell'avversario e pretendendo di strappargli le armi dalle mani...
A voler essere ottimisti, possiamo concludere che, se molte battaglie sono state perse, la guerra non è ancora finita?

Fausto Bottai

(1) http://it.wikipedia.org/wiki/Apocalittici_e_integrati

(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Tristan_Tzara

(3) http://it.wikipedia.org/wiki/Alfredo_Giuliani

(4) http://it.wikipedia.org/wiki/Collage_(arte)

(5) http://it.wikipedia.org/wiki/Kitsch

(6) http://it.wikipedia.org/wiki/Lamberto_Pignotti

(7) http://it.wikipedia.org/wiki/Luddismo

giovedì 29 novembre 2007

A. Barricelli plays Giuliani Op. 50 nro 13 photos Gregory Ch

Angelo Barricelli plays Mauro Giuliani Opera 50 nro 13

Angelo Barricelli
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Pictures by Janey Kay
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mercoledì 28 novembre 2007

A. Barricelli plays Giuliani Op. 50 nro 13 photo Chris Kovac

Angelo Barricelli plays Mauro Giuliani Opera 50 nro 13

Angelo Barricelli
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Pictures by Chris Kovac
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La musica reale in La morte a Venezia di L.Visconti di Angela Cingottini

Gustav Aschenbach, il cui nome è stato nobilitato da un principe con l’aggiunta di un von non trasmissibile agli eredi, è lo scrittore famoso, il poeta che aspira alla perfezione artistica per mezzo di un impegno costante, di una vita e di una moralità integre che non possono e non devono venir scalfite dalla munditia mundi. Adegua la propria esistenza al raggiungimento del suo scopo con costanza artigiana, senza concessioni a se stesso, acquistando grande fama . E’ quello che il grande germanista Ladislao Mittner definisce un eroe della debolezza. Non più giovane e spinto da una sorta di casualità, decide di concedersi una vacanza. Aschenbach non viaggia volentieri, non lo reputa necessario per la sua arte al cui fiorire, crede, serve unicamente la cura del suo diligente lavoro quotidiano . Non è quindi importante andare molto lontano da Monaco, dove vive…”Una notte in vagone letto e tre o quattro settimane di riposo in qualche località turistica internazionale nelle amene regioni del sud……. Cercava un luogo che fosse esotico, estraneo al suo mondo abituale, e tuttavia facilmente raggiungibile…(1)
Fin qui Thomas Mann, Der Tod in Venedig,1911.

Luchino Visconti ci introduce direttamente nell’azione per mezzo del vaporetto che porta Aschenbach a Venezia. E qui il poeta della novella di Mann è un musicista, che del protagonista manniano ha le caratteristiche fisiche e psicologiche e di cui vive tutte le dilacerazioni derivanti dall’aver percepito, e a poco a poco scoperto, un’ estetica ed un’etica in antitesi a ciò per cui sempre ha vissuto. Venezia fa da scenario alla novella e al film, in cui sia il poeta che il musicista vagano inseguendo il nuovo ideale artistico intuito che li condurrà sempre più lontani dalla loro originarietà, fino all’annullamento nella morte.
Le corrispondenze fra novella e film sono puntuali, ma la scelta di un musicista a protagonista del suo lavoro fa dell’opera di Visconti evento artistico autonomo e non semplice rielaborazione filmica di quella di Mann. Infatti, se escludiamo un elemento cui accenneremo poco più avanti, non ci sono nella novella espliciti contatti con la musica. Il dramma di Aschenbach, poeta o musicista che sia, scaturisce dallo scoprirsi inadeguato di fronte all’arte che esiste, comunque, al di fuori di lui e del suo processo creativo . La musica è ciò che fa veramente la differenza fra le due opere e, anche se si tratta di differenza dettata a Visconti dalla scelta di un mezzo espressivo diverso da quello di Mann, pone i due lavori su un piano artistico paritetico .
Film della musica quindi quello di Visconti , tale non solo nel continuum di Mahler fuori scena che accompagna il protagonista dal suo arrivo alla morte sulla spiaggia, ma anche nei passaggi di musica reale, intendendo con questa definizione, i passaggi musicali che sono parte integrante dell'azione filmica e non suo commento. Di questi passaggi, oltre alla fanfara dei bersaglieri brevemente presente anche in Mann, nel film ce ne sono altri tre di cui due introdotti da Visconti –l’orchestra che suona musiche da Die lustige Witwe di Lehar nel salone dell’albergo e , diverse scene dopo, Tadzio che accenna sul pianoforte dello stesso salone la sonata Per Elisa.

La terza sequenza di musica reale merita una trattazione più diffusa. Si tratta infatti di una scena ben delimitata e definita, presente nei minimi dettagli anche in Thomas Mann ed è, come accennavo poco sopra, l’unico passaggio in cui l’autore tedesco introduce nella novella l’ elemento musicale. E’ la scena dei posteggiatori napoletani che si esibiscono nel giardino e sulla terrazza dell’albergo e che, mentre colloca Mann sulla scia dei molti illustri scrittori tedeschi che ci hanno lasciato descrizioni sui cantanti popolari italiani, nell’economia della novella assolve ad una precisa funzione. Infatti l’uomo che sembra essere il capo della compagnia incarna il prototipo del guappo del sud che vuole trarre il massimo profitto dalla presenza degli stranieri, un misto di deferenza e truffaldineria. Nel praecipuum della storia, oltre a creare una scena di ‘mediterraneità’, i posteggiatori costituiscono parte di quel numero di personaggi locali cui Aschenbach chiederà, senza ottenerne di soddisfacenti, informazioni circa la sospetta situazione intuita a Venezia .
Il copione offerto da Mann è rispettato nei minimi particolari, sia nell’aspetto che nelle azioni dei personaggi. D’altra parte lo stesso Mann ha utilizzato per questa scena una situazione assolutamente rispondente all’epoca. I posteggiatori napoletani erano infatti di gran moda e molti di essi, famiglie intere, lasciavano la loro città per esibirsi in località turistiche in Italia e all’estero, o invitati dalle massime corti europee. Non era infrequente trovare posteggiatori napoletani alla corte dello zar Nicola primo, di Francesco Giuseppe o Gustavo di Svezia. Valga per tutti ricordare che Edoardo Di Capua nel 1898 musicò ‘O sole mio a Odessa, sul mar Nero,dove aveva seguito suo padre Giacobbe per integrare come secondo violino il gruppo da lui capeggiato e lì invitato. Così la pagina sui posteggiatori, con le colorite caratterizzazioni, aggiunge all’opera di Mann un tocco di verismo che non si esaurisce nella presentazione dei personaggi, ma si spinge alla descrizione dei pezzi musicali da loro eseguiti fino a renderli identificabili . Mann scrive, fra le altre cose, di “una canzonetta a più strofe, in voga a quel tempo in tutta Italia, nel cui ritornello interveniva ogni volta il resto della compagnia con canto e strumenti musicali al completo”. Sembra l’esecuzione di una stornellata. Visconti fa eseguire al gruppo una canzone di Armando Gill, napoletano, ricordato per essere uno dei primi autori-cantanti delle proprie canzoni, ampiamente conosciuto per Come pioveva . Gill, che godette di grande popolarità tra il ’10 e il ’26, scrisse molte canzoni a carattere di stornello in italiano, oltre che in napoletano. Il pezzo interpretato nel film, e che ben potrebbe rispondere alle descrizioni di Mann, fa parte di ‘Canti nuovi’ ed è meglio conosciuto con le parole iniziali Chi con le donne vuole aver fortuna….La canzone è del ’19 e in questo senso sicuramente non può essere proprio quella di cui scrive Mann, è però probabile che l’autore non abbia avuto in mente una canzone in particolare, ma si sia riferito ad una delle tante in voga in quell’epoca che vedeva un’ampia fioritura di canzonette popolari, avendo in mente di inserire nella narrazione un quadro d’ambiente. Sicuramente è più che centrata la scelta di Visconti di un brano che per tanti anni riscosse largo successo di pubblico in tutt’Italia.
Ma il gioiello della sequenza è la canzone successiva che Mann descrive in modo inequivocabile : Era una canzone che il solitario non ricordava di avere mai udito;strofe sfacciate, in un dialetto incomprensibile, separate da un ritornello di risa al quale l’intero gruppo si associava regolarmente a gola spiegata.. Allora cessavano sia le parole, sia l’accompagnamento strumentale, e non rimaneva altro che un riso scandito secondo un certo ritmo e tuttavia molto naturale, a cui specialmente il solista sapeva conferire con grande talento la più ingannevole spontaneità…La narrazione prosegue in una sinestesia di immagini suoni e colori che Visconti traduce in modo magistrale, da vero ricercatore antiquario. La canzone è ‘A risa’, scritta nel 1895 dal napoletano Berardo Cantalamessa, attivissimo fino al 1907, protagonista degli inizi dei café chantant. Cantalamessa aveva scritto questa canzone adattandola da una incisione fonografica di un cantante americano e le sue esibizioni al Salone Margherita di Napoli riscuotevano grande successo contagiando ilarità agli spettatori. Il pezzo divenne talmente famoso che molti cantanti e posteggiatori lo inserirono nel loro repertorio. Sicuramente Mann non si riferiva ad una interpretazione dello stesso Cantalamessa che non fu mai un posteggiatore e, anzi,viene ricordato come un raffinato nel vestire e nelle sue esecuzioni, ma da spettatore attento ci tramanda in una prosa vivissima uno spicchio di storia del canto popolare italiano. Visconti è l’artefice che traduce questa prosa in immagini e suoni reali che, pur creando un impatto all’apparenza stridente con l’ ambiente in cui si svolgono, sono parte della nuova estetica intravista da Aschenbach e ben si sposano alle immagini della Venezia fatiscente e sempre più spopolata , in cui i poveri muoiono da soli, davanti alla biglietteria della stazione.

Angela Cingottini



1) Per i passi citati si veda Thomas Mann, La morte a Venezia,traduzione di Paola Capriolo,Einaudi 1991.


Angela Cingottini vive a Siena, dove è docente di lingua italiana presso l'Università per Stranieri. (http://www.unistrasi.it/ ) Germanista di formazione, ha tradotto e pubblicato testi a carattere storico-artistico e poetico dal tedesco e dall'inglese.
Si occupa di glottodidattica e ha condotto sperimentazioni e ricerche all'interno dell'università sull'utilizzazione del canto e del teatro nell'apprendimento dell'italiano lingua straniera e collaborando con l'International Opera Theatre of Philadelphia (http://www.internationaloperatheater.com/)
Collabora alla videorivista Tendenze Italiane, per la quale ha curato numerosi servizi di carattere antropologico- musicale.
Ha pubblicato articoli in vari settori -cinema, musica, glottodidattica-ed è formatore in master e corsi di aggiornamento in Italia e all'estero.
Ha tenuto conferenze e cicli di lezioni sulla storia della canzone italiana presso l'Università per stranieri di Siena, la Libera Università di Città della Pieve e presso istituzioni universitarie in Europa e negli Stati Uniti.

Nel 2004 il Circolo dei Lenti di Siena ha curato una sua personale di pittura, 'Immagini', ripetuta nel 2005 nella rassegna 'Arte e Scuola ' dalla Biblioteca Comunale di Monteriggioni.

Collabora come voce recitante a eventi poetico-letterari e concerti, ultimo quello organizzato il 26 ottobre 2007 dall'associazione Music Ensemble nel palazzo comunale di Siena, con la soprano Silvana Bartolotta,il pianista Leonardo Angelini e il violinista Franco Barbucci.(http://www.musicensemble.it/ )











Pubbl. in Carte di Cinema, n.10, 2003

martedì 27 novembre 2007

Newsletter per Chitarra e Dintorni

Care lettrici e lettori del blog "Chitarra e dintorni" siamo lieti di informarVi che stiamo predisponendo la neswletter per il blog che conterrà avvisi, annunci e comunicazioni inerenti a quanto già pubblicato e quanto verrà pubblicato sul blog.

Per iscriversi basta mandare una mail a chitarraedintorni@yahoo.it mettendo nel titolo o nel messaggio l'indicazione "iscrizione newletter".

Questo ci permetterà di darVi un servizio migliore.

Cordiali saluti

Norman Czabo

A. Barricelli plays Giuliani Op. 50 nro 13 photos Janey Kay

Angelo Barricelli plays Mauro Giuliani Opera 50 nro 13

Angelo Barricelli
http://www.angelobarricelli.com

Pictures by Janey Kay
http://www.flickr.com/photos/11269250@N07/

lunedì 26 novembre 2007

A. Barricelli plays Giuliani Op. 50 nro 13 photos Janey Kay

Angelo Barricelli plays Mauro Giuliani Opera 50 nro 13

Angelo Barricelli
http://www.angelobarricelli.com

Pictures by Janey Kay
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domenica 25 novembre 2007

Fauvel presenta ‘L’opificio di Musica Potenziale’ di Paolo Albani

La pubblicazione di questo articolo (da: KONSEQUENZ, rivista di musiche contemporanee, 3-4, 2000), che Paolo Albani ha gentilmente concesso a 'Chitarra e dintorni', ci offre l'occasione per iniziare a parlare di OULIPO, ovvero "Ouvroir de littérature potentielle" e di tutto ciò che ne è seguito. Il testo, pur specificamente dedicato alla musica potenziale, contiene comunque una breve, ma esauriente cronistoria del gruppo francese, originariamente fondato e composto da scrittori e matematici, che ha però in seguito allargato i suoi confini e i suoi campi d'interesse in altri settori della produzione culturale e artistica. Ed ha altresì varcato le frontiere di Francia....
A proposito dell’autore dell’articolo, scrittore, poeta visivo, performer, nonché membro dell'Oplepo (Opificio di Letteratura Potenziale), si veda:
http://www.paoloalbani.it/
Fauvel

L’Opificio di Musica Potenziale


Nelle rassegne di musica contemporanea è raro trovare un cenno all’esperienza dell’Ouvroir de Musique Potentielle (Opificio di Musica Potenziale), un laboratorio originariamente nato in Francia negli anni ottanta per opera del matematico e ingegnere chimico François Le Lionnais (1901-1984), esperto di scacchi e grande amico di Marcel Duchamp, e dei compositori Pierre Barbaud e Michel Philipot.
Fra gli atti costitutivi dell’Opificio c’è la messa in musica da parte di Philipot del sonetto di Le Lionnais intitolato La rien que la toute la (La nulla che tutta la), scritto senza usare nomi, aggettivi e verbi, la cui prima quartina, tradotta in italiano, suona così:

Voi voi voi, perché ma di cui sebben nessuna
Quando di ciò (per dalle) con ciò perché non mai;
Soltanto gli e le già se quando per noi
Allo e contro quei chi di cui voi anche di.

La composizione venne eseguita da un soprano il 30 novembre 1983 al Centre Pompidou.
Legato al Centro di matematica e automatica musicale diretto dal compositore e architetto greco naturalizzato francese Iannis Xenakis (1922), musicista che ha utilizzato la teoria delle probabilità quale elemento costitutivo di una nuova musica, da lui definita “musica stocastica”, alla quale, dal 1960, ha aggiunto la “musica simbolica”, basata sulla logica matematica, l’OuMuPo è rimasto per alcuni anni inattivo per poi risorgere a nuova vita nel novembre 1992 a Bordeaux, grazie all’iniziativa di alcuni musicisti fra cui Didier Bessière, Jean-Raphael Bobo, Eric Boulain, Bertrand Grimaud, Dominique Gruand, Patrick Guyho, Frank Pruja, Bertrand Sauvagnac e François Valéry.
In parallelo, e con le stesse finalità, nasce in Inghilterra nel 1985 un analogo opificio musicale, Workshop for Potential Music, i cui ispiratori sono Andrew Hugill, Christopher Hobbs e John White.
Per comprendere la natura dell’OuMuPo bisogna fare un piccolo passo indietro e ricordare che, insieme a Raymond Queneau, Le Lionnais è il fondatore dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), gruppo di letterati e ricercatori scientifici che vede la luce il 24 novembre 1960 (un giovedì) nella cantina del ristorante parigino Il Vero Guascone. Fra i suoi membri vi sono Noël Arnaud, André Blavier, Italo Calvino, Harry Mathews, Georges Perec, Jacques Roubaud.
Storicamente l’OuLiPo è una delle numerose Sottocommissioni di Lavoro del Collegio di ‘Patafisica, accademia dello sberleffo e della fumesteria, istituita l’11 maggio 1948 sempre a Parigi da un cenacolo di letterari, artisti e poeti depositari della ‘patafisica, «scienza delle soluzioni immaginarie, del particolare e delle leggi che governano le eccezioni», teorizzata da Alfred Jarry in Gestes et opinions du docteur Faustroll. Pataphysicien. Roman néo-scientifique (1911).
Che cosa intendono gli oulipiani per letteratura “potenziale”?
Come dice la parola stessa, si tratta di una letteratura al momento inesistente, ovvero ancora da farsi, da scoprire in opere già esistenti o da inventare attraverso l’uso di nuove procedure linguistiche, una letteratura mossa dall’idea che la creatività, la fantasia trovano uno stimolo nel rispetto di regole, di vincoli, di costrizioni (contraintes) esplicite, come ad esempio quella di scrivere un testo senza mai usare una determinata lettera (lipogramma). La costrizione è considerata uno strumento creativo, che amplifica le probabilità di raggiungere soluzioni originali, bizzarre: l’essere «obbligati» a seguire certe regole sollecita uno sforzo di fantasia; la costrizione non restringe l’orizzonte delle strategie narrative dello scrittore, al contrario ne allarga le «potenzialità visionarie», paradossalmente è «un inno alla libertà d’invenzione», capace, come ha scritto Calvino, «di risvegliare in noi i demoni poetici più inaspettati e più segreti». Senza dimenticare che esiste sempre la possibilità di «une légère dérive» in grado di distruggere il sistema stesso delle costrizioni, uno scarto giocoso e liberatorio che Perec ha chiamato clinamen (nella fisica epicurea, una deviazione spontanea degli atomi).
Gli scrittori oulipiani sono dei «topi che costruiscono da sé il labirinto da cui si propongono di uscire». Quale labirinto? Quello delle parole, dei suoni, delle frasi, dei paragrafi, dei capitoli, dei libri, delle biblioteche, della prosa, della poesia. Nelle ricerche - ingenue, artigianali e divertenti - dell’Opificio si possono distinguere due tendenze principali: una analitica che si applica a opere del passato per cercarvi possibilità spesso insospettate dagli autori (un po’ nello spirito che contraddistingue la creazione dei “ready made” di Marcel Duchamp che, per altro, fu membro corrispondente del gruppo francese e morì oulipiano: anche in questo caso si parte da un testo “già fatto”, “trovato”, per metterne in luce le proprietà latenti, i significati potenziali attraverso varie tecniche combinatorie) e una sintetica rivolta ad aprire nuove vie, ignote agli scrittori precedenti, grazie all’aiuto di tecniche matematiche ed esplorando tutti gli aspetti formali della letteratura: costrizioni, programmi alfabetici, consonantici, vocalici, sillabici, fonetici, prosodici, rimici, ritmici e numerici. Lo scopo, per dirla in breve con Queneau, è quello di «proporre agli scrittori nuove “strutture”, di natura matematica oppure inventare nuovi procedimenti artificiali o meccanici, contribuendo all’attività letteraria: supporti dell’ispirazione, per così dire, oppure, in un certo senso, un aiuto alla creatività».
Fra i numerosi giochi letterari elaborati dagli oulipiani vi sono la letteratura definizionale con cui si trasforma una frase qualsiasi sostituendo a ogni parola la definizione che ne dà il vocabolario; il metodo S + 7 che consiste nel sostituire a ogni sostantivo di una frase di partenza il settimo sostantivo successivo in ordine alfabetico di un vocabolario; l’omosintattismo che si realizza scrivendo le parole di una frase una per una in colonna, sulla sinistra di un foglio; in una colonna centrale se ne fa l’analisi grammaticale; quindi in una terza colonna a destra si scrive una nuova frase che corrisponde parola per parola all’analisi grammaticale, ma totalmente diversa dalla frase di partenza; la poesia antònimica, una tecnica di creazione poetica che consiste nel sostituire a ogni parola di una data poesia il suo antònimo, cioè una parola che ha significato opposto a quello di un’altra, per cui il verso montaliano: Spesso il male di vivere ho incontrato diventa: Mai dal bene di morire sono scappato.
A fianco dell’OuLiPo nascono in date diverse l'OuLiPoPo (Ouvroir de Littérature Policière Potentielle), l'OuCuiPo (Ouvroir de Cuisine Potentielle), l'OuPeinPo (Ouvrier de peinture potentielle), l’OuCinéPo (Ouvroir de Cinéma Potentielle), e come si è detto l’OuMuPo (Ouvroir de Musique Potentielle). Senza disdegnare opere di teatro e di altri “generi” espressivi, l’OuLiPo opera anche nel campo informatico attraverso l’ALAMO (Atelier de Littérature Assistée par la Mathématique et les Ordinateurs), fondato nel 1982 da Paul Braffort e Jacques Roubaud.

Che cos’è dunque la “musica potenziale”?
Poiché genericamente è intesa come l’arte di combinare più suoni in base a regole ben precise, sembrerebbe contraddittorio e privo di significato parlare di una “musica sotto costrizioni”. In realtà gli oumupiani sottolineano come i loro esercizi muovono dall’“innata vocazione alla libertà” della musica, dalla sua lotta per affrancarsi da ogni costrizione.
Alcuni lavori oumupiani sono stati creati utilizzando il metodo N + 7, altri quello di ridurre un pezzo musicale ad una sola nota, ad esempio la nota E in omaggio a Georges Perec e al suo romanzo La disparition (1969) in cui non compare mai la lettera E. Ne L’Auteur se ritire, composizione per solo piano, Christopher Hobbs ha applicato un procedimento lipogrammatico al lavoro di certi musicisti rimuovendo le note corrispondenti alle lettere musicali dei loro nomi, con risultati di un’affascinante goffaggine ritmica che evoca suoni di culture primitive.
Il procedimento per sottrazione in ambito musicale non è nuovo, ha origini lontane. Uno dei “plagiatori per anticipazione”, espressione “paradossale e provocatoria” coniata per indicare quegli autori che in tempi precedenti alla nascita dell’OuMuPo hanno usato metodi “oumupiani”, è da questo punto di vista Alphonse Allais (1855-1905) autore nel 1897 di una famosa «Marcia Funebre composta per i funerali di un grand’uomo sordo»:




L’elenco dei plagiatori per anticipazione comprende, fra gli altri, alcuni compositori franco-fiamminghi dei secoli XV e XVI, come Johannes Ockeghem (1428ca-1495ca) la cui musica è caratterizzata dall’uso dei più complessi artifici e da un gusto marcato per il ritmo e per le elaborate combinazioni contrappuntistiche; Jacob Obrecht (1450 o 1451-1505) e Josquin Desprès (1440ca-1521) che basano alcune loro composizioni sull’uso della gematria, una tecnica della qabbalah per interpretare le parole della Bibbia in base a criteri aritmetici; e poi, in epoca più recente, oltre a Arnold Schönberg (1874-1951) cui si deve «il metodo di composizione con 12 note non imparentate tra loro», incontriamo Percy Aldridge Grainger (1882-1961) e Harry Partch (1901-1976), compositore statunitense, inventore di strumenti, alcuni ottenuti con l’adattamento di quelli tradizionali, altri costruiti con dimensioni e materiali inusitati (claxon, materiali plastici, ecc.), spesso basati sulla divisione dell’ottava in 43 suoni.
Il compositore oumupiano John White ha composto dei “machine pieces”, cioè dei brani come Drinking and Hooting in cui diversi performers bevono e soffiano in bottiglie secondo una data procedura oppure Jew’s-Harp Machine basato sulla continua permutazione dei suoni “ging-gang-gung-ho” o ancora Newspaper Reading Machine dove i suoni emessi corrispondono ai segni d’interpunzione contenuti in articoli di giornale letti durante la performance.
Révélations et Diversités è la sezione finale di una composizione per coro di Andrew Hugill intitolata Les origines humaines, ispirata alla «grande legge» di Jean-Pierre Brisset (1857-1923?). Compreso nell’Anthologie de l’humour noir (1966) di André Breton, Brisset è considerato uno dei più illustri “pazzi letterari”, inventore di un metodo, basato sull’analisi sonora delle parole, con cui rintraccia la storia delle origini umane e gli fa sostenere che l’uomo discende dalla rana (la specie umana è passata per quattro stadi: quello del girino, della rana, di Dio e infine dell’uomo). Per Brisset «tutti i concetti enunciati con suoni simili hanno una stessa origine e si richiamano tutti, nel loro principio, a uno stesso oggetto». Grazie a questo metodo Brisset sostiene che il francese è la lingua originaria dell’umanità.
La partitura scritta da Hugill comprende una “tavola di 324 quadrati”, divisa in 4 sezioni di 9x9 quadrati. Ogni sezione delimita il campo d’intervento dei singoli gruppi corali. Ogni quadrato rappresenta una misura di due battute e contiene sia il silenzio che gli adattamenti musicali di due sillabe (una corta, una lunga) consistenti nei fonemi base della lingua francese arrangiati in modo combinatorio. Ogni cantante interviene a livello individuale e volontario dando vita ad una specie di Torre di Babele da cui emergono le parole e le frasi musicali.
Per concludere accenniamo ad un esercizio di “musicale antonimica”, elaborato nell’ambito dell’OpLePo (Opificio di Letteratura Potenziale), gruppo italiano, omologo di quello francese, costituitosi a Capri nel novembre 1991, attualmente presieduto da Edoardo Sanguineti. Si tratta di trasformazioni algebriche di composizioni musicali, ottenute attraverso una trasposizione del concetto di antònimo (un elemento che ha significato opposto a quello di un altro) dalla letteratura alla musica, effettuate algoritmicamentre su brani musicali preesistenti. Il Concerto di Vejo di Marco Maiocchi ed Enrico Fagnoni è il titolo di un compact disc della Fonit Cetra comprendente otto brani proposti nella doppia versione, “normale” e “antonimica”.



http://www.oplepo.it/oulipo.html

http://www.oplepo.it/index.html

sabato 24 novembre 2007

MARIETTA PICCOLOMINI: una gentildonna prestata alla lirica di Angela Cingottini Part2

MARIETTA PICCOLOMINI,
una gentildonna prestata alla lirica.

di Angela Cingottini
pubbl. in Il Chiasso Largo, n. 3, ottobre 2007 , Pascal editrice, Siena.



Seconda parte




Traviata.
Anche se Marietta Piccolomini ebbe un repertorio vastissimo che va da Donizetti, a Paisiello, Balfe, Mozart e tantissimo Verdi, l’opera per cui è passata alla storia della musica come interprete leggendaria è la Traviata. La interpretò per la prima volta il 9 ottobre 1855 al teatro Carignano di Torino e le repliche proseguirono fino alla trionfale, ultima serata del 2 dicembre. In quest’ultima occasione la sua notorietà supererà le Alpi e la Manica. Le dedicano articoli lusinghieri, fra gli altri, La France Musicale e The Observer, anticipando i trionfi che le verranno tributati per la prima esecuzione di quest'opera fuori d'Italia, appunto a Londra. Sappiamo che la prima assoluta dell’opera, nel ’53 alla Fenice di Venezia, non aveva riportato grande successo. Verdi giudicava inadatti gli interpreti imposti dall’impresario e in una lettera cita la Piccolomini come una delle tre uniche artiste adatte a interpretare la protagonista. (4). Sappiamo come poi l’opera venne riproposta un anno dopo con alcuni tagli e con altri interpreti e fu da allora un successo sempre maggiore. Ciononostante, a causa di queste vicissitudini, la fama di Verdi all’estero era in ribasso. La prima londinese all’Her Majesty’s Theatre il 24 maggio del 1856, fu soprattutto uno strepitoso successo di Marietta, ma servì anche, gradualmente, a restituire a Verdi le sue giuste credenziali . Furono, probabilmente, proprio i successi londinesi a confermare ulteriormente Verdi nella stima per l'artista, con la quale, tra il maggio e l'agosto , intraprese una corrispondenza proponendole il personaggio di Cordelia nel Re Lear , opera che intendeva realizzare per la stagione 1857-'58 a Napoli. Il progetto non fu mai portato a termine, ma il quel periodo Verdi ebbe modo di esternare di nuovo, senza mezzi termini, la sua ammirazione per la cantante. (5)

Tra il 1856 e il 1860 Marietta Piccolomini è un’attrazione quasi stabile nei teatri londinesi e inglesi in genere.
Proprio ai successi inglesi si riferisce un biglietto manoscritto anonimo, privo di datazione e luogo presente fra i documenti dell'archivio di Stato di Siena dove si legge,fra l'altro '...La Sua Piccolomini, leggiadra nella figlia del Reggimento,sublime nella Traviata, fu divina nella Lucia In quest'opera ella avanzò ogni aspettazione anzi fece quanto non s'attendevano parecchi mostrandosi squisita cantatrice. Io non ho mai veduta né udita una simile Lucia. La Piccolomini è un genio e basta'.. (6)
Per la prima francese della Traviata, al Théatre Impériale Italien, Marietta Piccolomini è a Parigi il 13 dicembre del 1856 e già il 14 La France Musicale dedica all’opera, all’autore e agli esecutori un articolo minuzioso di sei colonne. La cantante viene paragonata a un essere magico che esercita sul pubblico un’influenza magnetica e la definisce '....una di quelle rare individualità che hanno il privilegio di risvegliare le emozioni delle masse senza che si possa dire da dove traggano la loro arte e il segreto del loro fascino.(...) canta diversamente dalle altre, e così bene che vi incatena alla sua voce.'

Nel settembre del 1858 Marietta Piccolomini viene scritturata per una tournée negli Stati Uniti dall'impresario Bernard Ullmann, il quale la pone al centro di un battage pubblicitario che ne enfatizza i successi londinesi e presenta 'La Traviata' come opera scritta dal compositore per lei, riuscendo a creare un'interesse tale da risollevare le sorti economiche della Academy of Music di New York, all'epoca il più grande teatro del mondo, costruito nel '54 con accorgimenti avveniristici, ma con costi di mantenimento talmente alti da non poter essere sostenuti con gli introiti derivanti dalle vendite dei biglietti, necessariamente costosissimi anch'essi..
Dopo un mese di esibizioni anche alla Academy of Music di Philadelphia, dove nel gennaio-febbraio del '59 interpreta oltre a Verdi anche Donizetti, Paisiello e Mozart, Marietta si sposta in altre grandi città degli Stati Uniti, per tornare poi a Londra..
La troviamo di nuovo in Italia a Firenze, il 4 dicembre, dove canta al teatro Pagliano per una sottoscrizione promossa per i volontari di Garibaldi . Per l'occasione canta Bianca Croce dei Savoia, su testo di Giosuè Carducci e musica del M.o Romani. L'entusiasmo è tale che la cantante deve concedere 3 bis.(7) Nell'aprile del '60 è di nuovo a Londra all'Her Majesty.

La Marchesa Caetani della Fargna
Il matrimonio con il Marchese Francesco Caetani della Fargna avvenne il 25 maggio 1860 e da quel momento la storia di Marietta Piccolomini fu un fatto eminentemente privato. Non mancarono sue esibizioni in pubblico, anche se quasi tutte legate a scopi filantropici, come quella che la vide cantare di nuovo Bianca Croce dei Savoia alla prima esposizione nazionale a Firenze nel '61 o quando cantò nel teatro Accademia degli Avvaloranti a Città della Pieve, nel 1869, impegnata insieme a cantanti locali nell'ultimo atto del Trovatore.(8)
Aveva il suo domicilio stabile a Firenze, presso il Poggio Imperiale, ma dovette nutrire e trasmettere ai suoi figli una particolare predilezione per Città della Pieve, dove abitava nell'imponente palazzo settecentesco,oggi sede del
Comune, proprio a fianco del teatro . Dopo la morte dei genitori le figlie Teresa , Concetta e Rita vi si stabilirono, continuando l'opera di filantropia e beneficenza che era stata propria della loro madre e contribuendo a diffondere quell'aura di 'pietas'' di cui la marchesa della Fargna si era circondata e che è messa in gran in risalto da Pietro Piccolomini, lo studioso che redasse un'opera a carattere biografico-encomiastico nel 1900, un anno dopo la morte di Marietta. (9). La morte del figlio Carlo, poco più che ventenne, avvenuta nel 1893, contribuì certamente al volontario allontanamento sociale cui accennava il redattore dell'articolo del Giorno sopra ricordato..
Sicuramente seppe trasfondere nella sua vita privata e civile l'impegno e la passione che l'avevano caratterizzata sulla scena, se Giuseppe Mazzini, nella lettera del 29 maggio 1865 a lei indirizzata, scrive:
' Signora,
...Vorrei invece di scrivere, potere stringervi la mano.
Io non vi dico 'amate la Patria' perché so che l'amate. Ma vi dico: giovatevi dell'influenza che dovete esercitare perché altri l'ami. Rimproverate acerbamente gli Italiani che vi sono, o vi saranno vicini, perché tollerano la presenza dello straniero in casa nostra, perché accettano -indifferenti o pensando ad altro-la vergogna di potere conquistare la Terra che Dio assegnò ad essi e di non farlo: La rampogna scende efficace da una donna e da una donna come Voi siete.. Spronateli, se non alla fede del Dovere,all'orgoglio italiano. Un popolo di 22 milioni che ciarla di libertà e non si occupa delle baionette austriache che tengono il Veneto ....è un popolo disonesto.
Addio, Signora, abbiatemi ammiratore e fratello.'

Fu, sicuramente, Marietta Piccolomini una personalità di grande rilievo in ogni momento della sua vita, capace di saper imporre agli altri o a se stessa scelte controcorrente o, comunque, coraggiose: voler essere una cantante professionista in un tempo in cui la cosa era di discredito per una donna, tanto più per una nobildonna per la quale sarebbe stato comunque impensabile esercitare una qualsiasi professione. Avere il coraggio di rientrare nei ruoli in un momento in cui, all'apice del successo, sicuramente non fu facile per lei. Manifestare direttamente una opinione politica, cosa che la colloca in una posizione di tutto rispetto , a fianco delle maggiori individualità del nostro risorgimento.

Marietta morì a Firenze, nella sua villa di Poggio Imperiale, l'11 dicembre 1899 a causa di una polmonite. E' sepolta al Cimitero delle Porte Sante, presso S. Miniato a Monte, nella cappella di famiglia affrescata da Gualtiero de' Bacci Venuti, pittore che molto della sua fortuna dovette alla vicinanza che per tutta la vita ebbe con i marchesi Caetani della Fargna..



NOTE
(1)- Canuti F., Nella patria del Perugino , Città di Castello ,1926, pp. 283-286.
(2)-Tutte le lettere della famiglia Piccolomini Clementini citate, inedite, si trovano all'Archivio di Stato di Siena ,Fondo Piccolomini Clementini, buste 72 e 75
(3)-La lettera è riportata in L'Unione Corale Senese a Marietta Piccolomini ,Siena, 1999, p.p 57-58
(4)-Nella lettera del 30 gennaio 1853 al presidente del teatro La Fenice Verdi scrive 'So che è difficile assai trovare artista che possa appagare le esigenze del Teatro.....Le sole donne che a me sembrerebbero convenienti sono.:1° la Penco,che canta a Roma; 2° la sig.a Boccabadati, che canta il Rigoletto a Bologna, ed infine la sig.a Piccolomini che ora canta a Pisa.'
(5)- Nella lettera del 23 agosto 1856 a De Sanctis Verdi scrive 'Io ho proposto la Piccolomini perché i suoi successi nella Traviata a Torino ed altri paesi ed ora a Londra sono così grandi e sinceri, che certamente non si potrebbe trovare né miglior Traviata né forse miglior Cordelia.. La voce è piccola ma il talento è grande.'
(6) – Inedito. Archivio di Stato di Siena, Fondo Piccolomini Clementini, busta 106.
(7)- L'episodio è ricordato dallo stesso Carducci nell'introduzione agli Juvenilia del 1880
(8)--L'episodio è ricordato da Gino Monaldi in Cantanti celebri del XIX secolo, p.131.
(9) -Piccolomini P., Marietta Piccolomini, Marchesa Caetani della Fargna, cenni biografici. .Siena, 1900
Angela Cingottini vive a Siena, dove è docente di lingua italiana presso l'Università per Stranieri. (www.unistrasi.it ) Germanista di formazione, ha tradotto e pubblicato testi a carattere storico-artistico e poetico dal tedesco e dall'inglese. Si occupa di glottodidattica e ha condotto sperimentazioni e ricerche all'interno dell'università sull'utilizzazione del canto e del teatro nell'apprendimento dell'italiano lingua straniera e collaborando con l'International Opera Theatre of Philadelphia (www.internationaloperatheter.com)Collabora alla videorivista Tendenze Italiane, per la quale ha curato numerosi servizi di carattere antropologico- musicale. Ha pubblicato articoli in vari settori -cinema, musica, glottodidattica-ed è formatore in master e corsi di aggiornamento in Italia e all'estero. Ha tenuto conferenze e cicli di lezioni sulla storia della canzone italiana presso l'Università per stranieri di Siena, la Libera Università di Città della Pieve e presso istituzioni universitarie in Europa e negli Stati Uniti. Nel 2004 il Circolo dei Lenti di Siena ha curato una sua personale di pittura, 'Immagini', ripetuta nel 2005 nella rassegna 'Arte e Scuola ' dalla Biblioteca Comunale di Monteriggioni. Collabora come voce recitante a eventi poetico-letterari e concerti, ultimo quello organizzato il 26 ottobre 2007 dall'associazione Music Ensemble nel palazzo comunale di Siena, con la soprano Silvana Bartolotta,il pianista Leonardo Angelini e il violinista Franco Barbucci.(www.musicensemble.it )

venerdì 23 novembre 2007

MARIETTA PICCOLOMINI: una gentildonna prestata alla lirica di Angela Cingottini Part1

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo saggio a opera di Angela Cingottini sulla cantante lirica Marietta Piccolomini.




MARIETTA PICCOLOMINI, una gentildonna prestata alla lirica.

di Angela Cingottini
pubbl. in Il Chiasso Largo, n. 3, ottobre 2007 , Pascal editrice, Siena.


Parte Prima



Sfogliando il libro Nella patria del Perugino, che nel 1926 lo storico Mons. Fiorenzo Canuti dedicò a Città della Pieve , abbiamo la sorpresa di trovare, nella sezione Uomini illustri nelle arti belle, una scheda dedicata a Marietta Piccolomini.(1) Viene da chiedersi chi sia e che cosa ci faccia lì, tra le figure di rilievo che nei secoli si sono avvicendate nel territorio della cittadina umbra ,questa gentildonna evidentemente senese e di antica nobiltà., ma oggi sconosciuta ai più .La risposta viene, in parte, dal suo nome completo : Maria Teresa Violante Piccolomini Clementini, Marchesa Caetani della Fargna , titolo da lei acquisito per aver sposato appunto Francesco Caetani della Fargna, membro della famiglia nobile presente in Città della Pieve fin dal 16 ° secolo.
Anche se il suo cognome di nascita la riconduce all’antica famiglia senese dei Piccolomini , tutto questo non è sufficiente, però, a identificare realmente la persona universalmente più conosciuta come Marietta Piccolomini. Un aiuto ci viene da un articolo pubblicato in morte da il Giorno , in cui si legge:
‘,,,Da trent’anni abitava in Firenze, ma sono già più di dieci anni che mi fu dato vederla. Il suo ricordo m’è sempre in cuore come quello della più gentile signora, della più perfetta gentildonna che immaginare si possa . E in pari tempo la ricordo quale la più fulgida stella che sia mai apparsa nel cielo dell’arte italiana.’
E poco sopra :
‘…Mai parlava dei suoi trionfi passati, e ricordo come la padrona della casa ove ebbi il piacere ed il sommo onore di conoscerla, mi raccomandò ripetutamente: - Non le parli mai dei suoi trionfi, della sua gloria: le farebbe dispiacere e andrebbe via più presto- Sarebbe difficile spiegare da quale sentimento essa fosse dominata, signoreggiata. Forse l’altissimo sentimento religioso dal quale era penetrata la faceva rifuggire da tutto quel che le ricordava il teatro. Forse, sposa e madre mirabilissima, voleva tutte le sue forze consacrare unicamente alla famiglia. Comunque si sia, Marietta Piccolomini spariva o si nascondeva per quanto le fosse possibile, dietro la marchesa Caetani della Fargna. Ma era stata troppo luminosa la traccia da Lei lasciata nel cielo dell’arte, ed ovunque ella appariva , in onta alla modestia sua ed ai modi squisitamente semplici, si levava un mormorio d’ammirazione trattenuto a mala pena dal rispetto e dalla conoscenza del suo desiderio di non contare fra le cultrici dell’arte.

Dobbiamo ripercorrere i giornali di metà ottocento per renderci conto di come l'articolo non fosse un puro encomio dovuto in morte a una gentildonna e di quanto calzante sia l’immagine che ci propone la parabola artistica di Marietta Piccolomini come una meteora che, all’improvviso, splende di luce intensissima per un breve tratto, per poi scomparire. Ed è proprio ripercorrendo i momenti della sua vita artistica e privata che possiamo renderci conto di quanto particolarissima sia stata la posizione di questa cantante della quale cercheremo di ricostruire , per quanto possibile , un profilo di donna e di artista .

Piccolomini Marietta nasce a Siena. E’ il 5 marzo 1834 e la famiglia Piccolomini Clementini è tra le più antiche della nobiltà senese. E’ la maggiore di tre figli. La casa del conte Carlo, il padre di Marietta, deve essere un ambiente sereno, in cui, nonostante sia metà ottocento, c’è dialogo. Ne sono testimonianza le molte lettere, conservate all'Archivio di Stato di Siena, scambiate tra i vari membri della famiglia.(2) Deve essere, quella del conte Carlo, anche una famiglia piuttosto liberale per permettere a Marietta, in età molto giovane, di intraprendere la carriera di cantante. Vero è che molti articoli dell’epoca, nel riferire del caso straordinario di questa giovane nobildonna che affronta con successo le scene dell’opera, non tralasciano di accennare come ella abbia dovuto lottare non poco per convincere i genitori ad assecondare questa sua inclinazione, ma rimane il fatto che Marietta Piccolomini, a un mese dal compiere 18 anni, nel febbraio del 1852, debutta alla Pergola di Firenze con Lucrezia Borgia di Donizetti. E il fatto di intraprendere la carriera di cantante non è una improvvisazione, ma la risultante di una educazione accurata che Marietta ha ricevuto e che ha tenuto conto delle sue disposizioni naturali fin dalla primissima infanzia, anche se solo nel 1851, convinti dal successo ottenuto cantando per scopi filantropici in una accademia cittadina, il conte Carlo e la contessa Teresa decidono di farla passare a studi più perfezionati con il maestro Romani, tra i migliori dell’epoca, a Firenze.
Inizia così un periodo che condurrà non solo Marietta, ma tutta la famiglia del conte Carlo in giro per l’Italia, l’Europa e perfino gli Stati Uniti, in una continua tournée durata circa otto anni. L’unico a rimanere a Siena è il giovane fratello Innocenzo -nelle lettere Cencio o Cencino- che deve completare la sua educazione al Collegio Tolomei, dove lo raggiungono le frequenti ed affettuose lettere della madre, delle sorelle e del padre. Sono lettere vivaci, piene di informazioni e raccomandazioni, appuntamenti per le festività, notizie da dare ai parenti e saluti, che non mancano mai, per il Padre Rettore e gli altri padri che si occupano della sua educazione. Le notizie relative alla carriera di Marietta e ai suoi concerti sono informazioni tra le altre e non sembrano polarizzare l’attenzione della famiglia. Sembra quasi che per i familiari la carriera e i successi di Marietta siano un gioco abituale, cui non dar troppo peso e da non prendere troppo sul serio. Talvolta tralasciano perfino di parlarne.
Di opinione assolutamente diversa sono i giornali e il pubblico, che ne riconoscono e ne acclamano da subito le grandi doti. Il suo precoce esordio alla Pergola di Firenze, avvenuto pochissimo tempo dopo aver iniziato gli studi con il Romani, è considerato un evento che verrà in seguito ricordato in tutti gli articoli a carattere biografico scritti su di lei. Dappertutto si evidenzia la professionalità e la bravura con cui la giovane cantante affronta un ruolo di protagonista così drammatico, ruolo che sembrerebbe contrastare con la sua giovane età.
Nell’autunno dello stesso 1852 la troviamo a Roma al teatro Argentina e il pubblico romano mostra grande apprezzamento per lei. I giornali ne enfatizzano le doti sceniche e le capacità interpretative evidentemente uniche, tali da essere unanimemente ricordate in tutti gli articoli su di lei in Italia e all’estero. Di quel primo soggiorno romano troviamo testimonianza anche in una lettera della contessa Teresa a sua madre Violante, ma l’attività della figlia è affrontata con grande nonchalance: La contessa non si dilunga sulla carriera di Marietta e, pur non potendo fare a meno di riferire alla madre che tutti, cantanti e orchestra, l’hanno applaudita alla prima prova, preferisce dare notizie sul soggiorno romano della famiglia, sulle frequentazioni, mandare saluti a tutti e, naturalmente, ‘un bacio a Cencino’ Sembra quasi che si voglia glissare su questa figlia che calca le scene o che, comunque, non le si voglia far montare la testa, avendo già chiaro che questa dovrà rimanere solo una parentesi della sua vita. E in effetti, se si pensa al basso livello di considerazione sociale in cui, ancora per tutto l’ottocento e oltre erano tenuti gli attori in genere e , in particolare, le donne di teatro, viene da chiedersi veramente come sia stato possibile che una famiglia di tanto antica nobiltà abbia potuto acconsentire a tale scelta della figlia. Probabilmente la verità più semplice è quella più evidente : Marietta era dotata e ben preparata, il canto lirico era l’espressione artistica e la forma di intrattenimento che maggiormente polarizzava l’attenzione della buona società dell’ ‘800 e i conti Piccolomini hanno finito per non trovare poi né così disdicevole, né disonorante che la figliola si dedicasse, per un periodo della sua vita, all'attività di cantante. Specialmente se costantemente accompagnata dalla famiglia . E’ soprattutto questo, infatti, l’aspetto più singolare di tutta la vicenda : un' intera famiglia in viaggio che per otto anni accompagna la figlia nei teatri delle massime città del mondo. D’altra parte tutto questo aveva un senso: salvaguardarne la reputazione e aiutarla ad amministrare le sue finanze. Contemporaneamente questo costituisce per i conti Piccolomini l’input a partecipare attivamente alla vita di società dei massimi centri artistico- culturali del momento. Una vivace lettera scritta da Giuseppina Verdi a Marietta a Londra (3) ci immette proprio in questo gioco di società, ricordando come, proprio lei stessa, abbia fatto conoscere alla contessa Madre il caviale di Chevet al Palais Royal. Ma Giuseppina Verdi, in quella medesima lettera, fa anche un’ affermazione di tutto rilievo nei confronti della stessa Marietta scrivendole ‘…Voi siete dello scarso numero d’ Artiste, che malgrado il contatto delle scene, e la vertigine dei trionfi, hanno conservato il cervello ed il cuore..' affermazione che, rovesciata, ci dà la misura della situazione : solo poche artiste di teatro riescono a mantenere equilibrio tra mente vigile e sentimenti, senza che nessuna delle due facoltà ne risulti depauperata.: Marietta è una delle poche. D’altro canto è logico che sia così. L’educazione ricevuta, derivante dal suo stato sociale, la pone in condizione di vantaggio nei confronti di altre cantanti che, pur tecnicamente preparate e altrettanto o, forse più di lei naturalmente dotate, difficilmente possono aver raggiunto il suo livello culturale, che è sicuramente la risultante di una educazione accurata, ma è dato anche dagli apporti forniti dalla quotidianità, vissuta fin dalla primissima infanzia, in seno ad una famiglia colta e facoltosa . E’ stata questa, probabilmente, la carta vincente di Marietta Piccolomini, quella che le ha fatto conquistare pubblico e critica come interprete assolutamente personale e per la quale la stampa dell’epoca ha frequentemente speso l’aggettivo ‘intelligente’. E’ stata, sicuramente, l’abitudine connaturata alla lettura profonda dei testi, alla loro capillare comprensione, che le ha facilitato interpretazioni così veritiere e ben riuscite da procurarle unanimemente paragoni con la grande attrice drammatica Adelaide Ristori .

giovedì 22 novembre 2007

Poesia e grafica pubblicitaria - Parte prima di Fausto Bottai

Com'è stato ampiamente ripetuto, lo sviluppo tecnologico determina un duplice ordine di stimoli e reazioni: da un lato sorgono discipline 'artistiche' del tutto inedite (la cinematografia per es.), dall'altro le discipline preesistenti attraversano periodi di crisi più o meno profonde e di radicale rinnovamento, dovendo rimodellare il loro 'linguaggio' tradizionale in rapporto alla nuova realtà.
Basti pensare, anche di sfuggita, al binomio pittura-fotografia, per rendersi conto delle notevoli
conseguenze che la scoperta e la diffusione delle nuove tecniche hanno determinato anche nell'ambito, un tempo gelosamente custodito, delle tecniche più antiche. Il binomio poesia-grafica pubblicitaria non si presenta forse come un campo di reciproche interferenze paragonabile a quello fra pittura e fotografia? In fondo, non è questa la convinzione dei teorici della c.d. poesia visiva? Adriano Spatola definiva attuale e inevitabile "il passaggio da una concezione ancora tipicamente letteraria della poesia a una concezione aperta" (in Verso la poesia totale, un testo del 1969). Detto in altri termini, una volta accettato 'il fatto che la semanticità si fa figurale, iconica, acquistando una dimensione plastica oltre a quella propria verbale', si ammette anche conseguentemente una perdita di autonomia e autosufficienza dello stesso fatto verbale: il testo letterario rappresenta uno degli elementi del prodotto grafico-pubblicitario, non lo esaurisce.
Naturalmente ci sono coloro che non accettano la 'riduzione' del fatto poetico e letterario ad una sorta di 'operazione da copyright'. E che rivendicano per la poesia, intesa tradizionalmente come 'canto', un suo autonomo spazio, pur ammettendo la necessità di fare i conti con le novità tecniche e ideologiche indotte dallo sviluppo dei mass-media.
Per cercare di spiegare meglio ciò che sono andato elaborando nel corso del tempo su questo argomento, ritengo opportuno riportare appunti e considerazioni svolte in varie circostanze, spesso a margine della lettura di libri e articoli sull'argomento. Non si tratta quindi di un testo in cui le varie tesi sono esposte in modo organico e coerente. Preferisco però lasciare queste pagine al livello di elaborazione in cui sono state originariamente scritte, sperando che risultino interessanti, nonostante, anzi -chissà- forse proprio in virtù del loro carattere frammentario..
Comincerò a pubblicarle, a poco a poco, nei prossimi giorni, anche perché si tratta -ahimé- di manoscritti, e quindi, per usare un termine orrido, devono essere... 'digitalizzate'. Può sembrare una bella contraddizione parlare di manoscritti oggi, soprattutto affrontando questioni che riguardano novità indotte a vario livello dallo sviluppo tecnologico.. Anzi, è una bella contraddizione! Però, che volete farci? Quando si tratta di 'scrivere' io sono rimasto fedele alle modalità proprie dell'epoca pre-moderna, riesco a concentrarmi e a produrre qualcosa solo
avendo una bella pagina bianca davanti e una penna in mano.. Neanche la vecchia macchina da scrivere... Per carità!


I-Laddove si parla della possibilità di istituire un rapporto diretto fra poesia visiva e grafica pubblicitaria - e più in generale fra testi poetici e testi pubblicitari, si fa spesso riferimento al concetto di 'slogan'. E. Gomringer (1) cita, a proposito delle sue 'Costellazioni', le istruzioni negli aereoporti e le segnalazioni stradali: si tratta di 'poemi' di estrema concisione,composti per una 'lettura istantanea'. Ciò che ha fatto pensare ad un passaggio 'dal verso all'ideogramma': si ricorda infatti l'interesse di Ezra Pound (2) per l'ideogramma cinese, considerato l'espressione di un atteggiamento mentale che tende al massimo di economia nella comunicazione delle forme verbali. Andando a ritroso, arriviamo fino a Mallarmé, considerato anticipatore di molte delle soluzioni fondamentali della 'poesia totale' (A.Spatola). Soprattutto con 'Un coup de dés' (3), dove la varietà dei caratteri di stampa e la distribuzione di gruppi di parole in diversi punti della pagina determinano la trasformazione del 'poema' in gioco visivo ('spettacolo ideografico, come lo definiva Valery). E' il momento in cui Mallarmé parla dell'importanza del bianco (che la versificazione esige come silenzio) e delle 'suddivisioni prismatiche dell'idea' collegate a un principio di 'visione simultanea della pagina'. Simultaneità che poi diviene una nozione futurista: le famose parole in libertà. E' a questo punto che Spatola parla , nel saggio 'Verso la poesia totale' (4), di passaggio 'da una concezione ancora tipicamente letteraria della poesia ad una concezione aperta'. La poesia si trasforma da 'canto'a 'messaggio': al termine di questo percorso c'è il rifiuto del verso libero, ormai considerato soltanto un alibi, una 'finta sovversione'. Viene messa in dubbio 'la sopravvivenza della parola come strumento poetico per definizione'. Questa posizione è chiaramente enunciata da K.Schwitters (5): 'Il materiale originario della poesia non è la parola, ma la lettera. Le lettere non contengono idee.. Sono.. unità alfabetiche emancipate dalla radice semantica'. Qualcuno propone un parallelo fra questa nuova concezione della poesia e l'invenzione della serie dodecafonica da parte di Shoenberg. Così facendo la poesia diventa appunto un fatto 'extraletterario', un qualcosa che ha molto a che vedere con la grafica, da un lato, e dall'altro, su un altro versante di ricerca, col suono, con la musica. A chi si ribella sostenendo che a questo punto non ha più senso parlare di poesia, i poeti sperimentali obiettano che solo i loro esperimenti 'grafici' e 'sonori' possono essere definiti 'poemi' oggi e rifiutano senza remora alcuna 'l'artigianato, la discorsività e la metafora che trasformano la poesia del nostro tempo -contrassegnato dal progresso tecnologico e dalla comunicazione non verbale- in un anacronismo'. Bisogna che la nuova poesia vada al passo coi tempi 'in esatta consonanza con il bisogno della nostra civiltà di un messaggio che sia il più possibile rapido e diretto'. Dice Gillo Dorfles (Le oscillazioni del gusto): 'In un periodo come l'attuale di continuo e dinamico divenire non c'è più tempo per la staticità dell'ascolto e per la revenzialità della contemplazione. Occorre immagazzinare presto e bene -o magari presto e male- le immagini che il mondo ci offre prima che abbiano perso il mordente e si siano dileguate nel nulla' (6).Dal mito futurista della velocità all'ansia, all'assillo, all'ossessione di 'fare in fretta', di usare il 'massimo di economia' nell'elaborare'messaggi', perché non c'è tempo da perdere, pena la certezza di vederli naufragare nel vuoto.. Viene di pensare ad una sostanziale acquiescenza, ad una supina accettazione di un modello di cultura e di vita sociale che pure molti definiscono insensata. Ma non c'è solo questo... In realtà, a partire dall'epoca delle avanguardie storiche, il rapporto fra arte e mondo delle macchine, dell'industria e dei mass-media è vissuto in modo meno conflittuale che durante l' '800, o almeno così sembra; ma, al di là dell'apparenza, non è tutto così semplice e scontato. Certo, se ci riferiamo ai futuristi, ad es., possiamo parlare senza dubbio di una impostazione estetica (e poetica) che in fondo 'rovescia' la tradizionale posizione di condanna nei confronti della civiltà delle macchine, propria, come sostiene T. Maldonado (7), tranne rare eccezioni, a tutti gli artisti del XIX secolo: 'le macchine erano considerate dei mostri capaci solo di generare altri mostri'. Solo sul finire del secolo, si va facendo strada una concezione 'meno nostalgica del passato'. Alcuni artisti cominciano a convincersi della necessità di affrontare la sfida dei tempi nuovi, e si fa largo 'l'idea che i mostri possano essere addomesticati, appunto per mezzo dell'arte'. Sono sempre parole di T.Maldonado. I futuristi rappresentano ovviamente la punta più estrema (ed estremista) di questo complesso 'movimento', il cui fine era 'di portare l'Arte all'Industria, come in modo un po' astratto e vago si usava dire nei primi decenni del secolo'. C'è un saggio di E.Zolla (Eclissi dell'intellettuale) che per altro esprime un netto rifiuto dell'industrialismo e una condanna senza appello della avanguardie storiche, in cui tali temi sono esaminati in modo, a mio avviso, illuminante (8). 'L'avanguardia' dice Zolla 'ricalca assai bene la realtà che essa accetta (...), ne fornisce una rappresentazione diretta, una radiografia'. L'uomo di J.Joyce è l' 'abitante comune della metropoli, con le sue associazioni gratuite, sfruttate dalla pubblicità, con la mente alla mercé dell'industria culturale; la pittura astratta parimenti rappresenta il mondo reale delle strutture d'acciao (..) e prende atto della sparizione della figura umana entro la struttura'. In fondo sono le stesse parole che altri pronunciano (hanno pronunciato e possono pronunciare) rivendicandole come un titolo di merito delle avanguardie! Al contrario, Zolla scrive: 'Le trovate si susseguono: come i bambini storpiano le parole così gli avanguardisti sfruttano le sculture negre, i disegni infantili, le decorazioni copte. Nella letteratura si giunge ad una disintegrazione della parola oltre che della frase; se non si ha in dono l'ignoranza, cioè nel caso di Pound e Joyce, si riprende l'atteggiamento dello studente riottoso, si fanno parodie della cultura, si gioca con essa come fosse un accozzo di frantumi sconnessi, e non parola di vita..' In definitiva Zolla rimprovera all'avanguardia il suo carattere buffonesco, di cui rivela, al di là dei conclamati intenti dissacratori, la sostanziale 'accettazione del reale', cogliendo in questo soltanto l'intento apologetico. 'L'industria culturale assorbe rapidamente le trovate, i tic degli artisti d'avanguardia, proprio per il loro intimo legame con il reale'; nello stesso tempo la massa solo in apparenza si ribella all'arte d'avanguardia, poiché è disposta ad accettarla non appena diventi prodotto industriale: piatto, scarpa, cartellone, film. In definitiva 'a dispetto d'ogni loro illusione gli artisti d'avanguardia lavorano per l'industria: per farlo debbono spezzare il legame con il passato, o cavarne l'essenza, che è un modo per uccidere'.

Fausto Bottai

(1) http://it.wikipedia.org/wiki/Eugen_Gomringer
(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Ezra_Pound
(3) http://it.wikipedia.org/wiki/Stéphane_Mallarmé
(4) http://it.wikipedia.org/wiki/Adriano_Spatola
(5) http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Schwitters_Kurt
(6) http://it.wikipedia.org/wiki/Gillo_Dorfles
(7) http://www.mediamente.rai.it/HOME/BIBLIOTE/biografi/m/maldonad.htm
(8) http://it.wikipedia.org/wiki/Elémire_Zolla

mercoledì 21 novembre 2007

Immagini da “La Catedral” di Barrios di Giuseppe Chiaramonte

Una enorme piazza deserta, al crepuscolo. Di fronte la facciata enorme della cattedrale gotica che punta contro il cielo i suoi artigli di pietra. I mostri stanno dormendo, non si può fare rumore, meglio non destarli. Il cielo prelude ad una notte sepolcrale, che silenziosamente ghigna, ma non si fa sentire, perché nell’aria non deve spargersi il timore dei mostri dell’inferno. Il medioevo è lontano e inoffensivo come una mummia rinsecchita dagli anni. Non rabbrividisce più la nostra schiena al rovistare della derelitta cagna. Sentiamo però il desiderio di immedesimarci in un atmosfera irreale, vogliamo più di ogni altra cosa essere lì, in quel tempo, prima che in quel posto. Al sicuro però del profondo distacco che gli anni hanno creato tra noi e loro, quelli che sognavano la notte, negli incubi, i mostri della cattedrale. Così però la mostruosità diventa cinematografica, e i raggi inclinati del sole freddo di un autunno nordico scolpiscono sulla pietra della cattedrale un aureola che evapora e si spande verso l’alto, verso il cielo, per ricongiungersi con l’autore di quella maestosa opera non terrena. In attimi che durano un’eternità stacchiamo l’ultimo passo che ci separa da quella porta buia per entrare dove è sempre notte.
I nostri passi segnano il tempo nel religioso silenzio che regna in quella gola profonda. Passi lenti, come il tempo nella cattedrale, lentissimo. Poche le vetrate che al posto della luce portano un senso di divino, come il barlume mobile di una fiamma. La fiamma del camino nella stanza del Signore. Siamo nella sua dimora e tutto intorno lo dimostra. Non osiamo guardare in alto perché in quella casa il cielo è troppo alto. Ed enormi alberi di pietra lo sostengono. Ci avviciniamo alla scanno più vicino per sederci, con la stessa lentezza. Aspettiamo una pausa. E la pausa arriva. Sono i passi dell’organista, molto più veloci dei nostri, molto più sicuri, molto più agili; i suoi passi sono la pausa perché non arrivano a tempo. Le nostre immagini si fermano, e il nostro pensiero. Solo pochi istanti. L’organista invisibile, lo immaginiamo magro, alto, grigio, senza un volto. Solo le mani, mostruosamente precise sui tasti. Macchiate di vecchiaia con le vene senza più linfa. Solo le mani sono nitide al nostro pensiero.
Il suo virtuosismo incorona regina la maestosità. D’incanto ci immobilizza. Non ci sono più le vetrate, non le colonne. Non il pavimento. Non ci sono gli scanni. I nostri occhi sono troppo lenti per seguire ogni immagine fantasma che si forma per ogni nota dell’Allegro solenne, che di allegro non ha neanche il nome. Il buio fa spazio ad una sensazione indistinta di visione onirica troppo reale per essere divina. Sull’ultima nota qualcuno ci sveglia e siamo già lontani, nelle nostre case, magari sul palco del nostro concerto, dove il nostro pubblico ci ringrazia, per averlo trasportato nel medioevo buio, su una lunga preghiera, maestosa come una cattedrale.





Giuseppe Chiaramonte

Allegro Non Troppo, Slavonic Dance No. 7 by Antonin Dvorak

lunedì 19 novembre 2007

Bolero da "Allegro ma non troppo" di Bruno Bozzetto

Allegro ma non troppo - Bruno Bozzetto


Poster Allegro ma non troppo
Inserito originariamente da empedocle70

Allegro ma non troppo è forse l’opera più conosciuta di Bruno Bozzetto, realizzato nel 1976 e liberamente ispirato a Fantasia della Disney, dal quale si distingue per un approccio più umoristico e più mirato, nonché per i minori costi di realizzazione. Qui la musica classica, più che generare immagine, fa da prestigiosa colonna sonora ad un montaggio di rapide sequenze. Il film è composto da sei episodi, ciascuno con una sua particolare atmosfera surreale, ispirati a famosi pezzi di musica classica:



· il Preludio al pomeriggio di un Fauno" di Claude Debussy
· la Danza slava di Antonín Dvořák
· il Bolero di Maurice Ravel
· il Valzer triste di Jean Sibelius
· il Concerto in do maggiore di Antonio Vivaldi
· l'Uccello di fuoco di Igor Stravinskij


Le sei musiche e i rispettivi filmati sono inseriti nel film in una storia filmata dal vero che funge così da filo conduttore di tutta l'opera. All'inizio ed alla fine del film, e fra un episodio e l'altro, ci sono sequenze girate con attori in carne e ossa, in cui il direttore dell'orchestra (Nestor Garay) è alle prese con il produttore, l'animatore (Maurizio Nichetti) ed un'orchestra recalcitrante. In queste parti dal vero la comicità nasce dalle medesime meccaniche surreali del cartone animato, applicate a personaggi in carne ed ossa. E’ lo stesso Nichetti che “improvvisa” i fumetti ispirato dalle musiche suonate dalla scalcinata orchestra e dal collerico direttore. Ne esce un film che, nella struttura simile alla famosissima "Fantasia" disneyana, riesce ad affermare una propria autonoma originalità, sviluppando tematiche attuali in uno stile moderno e rinnovato, rispetto all'ormai classico modello americano.

Video

Bolero http://chitarraedintorni.blogspot.com/2007/11/bolero-da-ma-non-troppo-di-bruno.html

Valse Triste http://chitarraedintorni.blogspot.com/2007/11/allegro-non-troppo-valse-triste.html

Bolero http://chitarraedintorni.blogspot.com/2007/11/bolero-da-allegro-ma-non-troppo-di.html

Slavonic Dance http://chitarraedintorni.blogspot.com/2007/11/allegro-non-troppo-slavonic-dance-no-7.html


Bruno Bozzetto

Nasce a Milano nel 1938 e inizia a dedicarsi al cinema sin da adolescente.
Il suo primo film è Tapum! La storia della armi del 1958. È del 1960 Un Oscar per il signor Rossi, primo film avente per protagonista questo piccolo e collerico personaggio, perfetto ritratto dell’omino piccolo borghese, quasi una versione fumettistica del Fantozzi di Villaggio. Nel 1965 esce West&Soda, parodia del genere western e terzo lungometraggio animato italiano. Vip mio fratello superuomo, remake in chiave comica del genere supereroistico, molto in voga all'epoca, risale al 1968. Dopo questo secondo lungometraggio seguono tanti filmati pubblicitari per Carosello e cortometraggi comici e satirici. Un altro suo film meno conosciuto di Allegro ma non troppo è Vip, mio fratello superuomo, che prende in giro la globalizzazione e la pubblicità.
Convinto assertore che l'animazione possa sintetizzare e rendere comprensibili anche al grosso pubblico concetti ritenuti fino a quel momento astrusi e difficili, Bozzetto ha operato anche nel campo della divulgazione scientifica, realizzando con Piero Angela circa 100 filmati inseriti nella rubrica televisiva "Quark"
In un breve cortometraggio animato con tecnica Macromedia Flash diffuso su internet intitolato L'Italia e l'Europa ha saputo ancora una volta in modo semplice ed efficace illustrare con sarcasmo alcuni tratti della società italiana odierna.
Attualmente Bozzetto è impegnato nella realizzazione di animazioni al computer con l'uso di Flash, e nella realizzazione del serial La famiglia Spaghetti.

Empedocle70

venerdì 16 novembre 2007

30 Novembre 2007 Concerto di Angelo Barricelli a Torino

Associazione "Progetto Leonardo" in collaborazione con Fausto Bottai

presenta

Recital chitarra solo del Maestro Angelo Barricelli

Associazione "Progetto Leonardo"
Cappella dei Mercanti -Torino

Venerdì 30-11-2007
ore 20.30
musiche di: J. Dowland, T. O'Carolan, R. Turovsky, F. Bottai, A. Barrios,
F. Tarrega, A. Piazzolla, I. Albeniz e R. Fabbri.

Ingresso libero.

giovedì 15 novembre 2007

Jacopo da Montaio: il vero-falso Dowland

Non contento delle scorribande piratesche compiute in ambito letterario, Fausto Bottai ha esportato le stesse tecniche manipolatorie in campo musicale. Mi riferisco, per le prime, all’articolo di Fauvel sugli acrostici. Delle seconde parlerò brevemente qui. Nell’articolo di cui sopra Fauvel citava ad un certo punto il Borges di ‘Tlon, Uqbar, Orbis Tertius’ ed in particolare il fatto che tutte le opere d’arte del pianeta Tlon sarebbero creazioni (o ricreazioni?) di un solo autore, atemporale e anonimo. Viene il sospetto che Fausto si sia assunto, nel suo piccolo, il compito di dimostrare che la realizzazione dell’ ‘utopia’ tloniana sia… più vicina del previsto. Vi mostra una ‘sua’ opera? Viene subito da chiedergli: ehm, ma chi ne è autore? Citando Pirandello: uno, nessuno, centomila? Sicuramente centomila sono troppi! Uno.. troppo pochi! Usando il termine ‘nessuno’ si dà forse la risposta più giusta, poiché metaforicamente ci si avvicina a quel concetto di atemporalità e di anonimato di cui si diceva.
Ma vediamo di scendere nei dettagli. Coloro che frequentano il forum di chitarra classica Delcamp potrebbero essersi imbattuti in alcuni esempi di questo genere di opere. Riporto senz’altro le note che lo stesso Fausto ha postato in quella sede presentando uno di questi lavori, Piccola poesia notturna, propriamente un 'logogrifo', ovvero un anagramma parziale composto da frammenti di un altro brano musicale, in questo caso ‘The frog galliard’ di J.Dowland. ‘Ho già dichiarato, scrive Fausto, che il lavoro di taglia e cuci è stato compiuto direttamente su registrazioni audio, tagliando cioè a brandelli una traccia wave e ricomponendo con quei brandelli una diversa ‘registrazione’ del tutto virtuale. Tutto ciò sfruttando le potenzialità di uno dei programmi più noti e usati, in sede di editing. Bene, uno dei brani di Dowland era appunto 'The frog galliard', recentemente postato dall'amico Angelo Barricelli sul forum in una esecuzione splendida. La tentazione di ripetere l'esperimento a partire dalla sua registrazione era troppo forte... Gli ho chiesto quindi l'autorizzazione a 'maltrattare' il suo mp3, e lavorando di forbici e colla ho pazientemente 'ricostruito' questa Piccola poesia notturna'..
Qui sotto postiamo a mo’ d’esempio l’mp3 dei due brani.
Possiamo rilevare che il meccanismo alla base di questo ‘gioco’ è esattamente analogo a quello di cui parlava Fauvel nel precedente articolo : si tratta sempre di ‘testi’ composti da citazioni integrali di un’opera altrui. I brani per liuto di John Dowland come le poesie di Giuseppe Ungaretti. L’autore di queste operazioni definibili, senza tema di smentita, parassitarie, a chi lo rimproverava considerando questo modo di agire un ‘sacrilegio’, rispondeva candidamente: 'Per me il discorso funziona in tutt'altro modo: adoro la musica di Dowland al punto di aver scelto questo compositore come guida , come il mio Virgilio nel viaggio all’interno del mondo della musica. Ed è proprio in virtù di questa scelta che ritengo giusto 'usare' la sua musica come 'oggetto' di studio: in questo senso, il rifacimento, la citazione, la variazione etc. li considero un rendere omaggio, non un deturpare... '
Non so quanti prenderanno per buona questa sorta di autodifesa.. Noi, borgesiani convinti, propenderemmo.. per l’assoluzione…



http://it.geocities.com/empedocle70/Thefroggalliard.mp3



http://it.geocities.com/normanczabo/JacopodaMontaio/piccola_poesia_notturna.mp3

Jacopo da Montaio

martedì 13 novembre 2007

Liuteria in Concerto


liuteria-in-concerto
Inserito originariamente da normanczabo
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento del Dott. Fabrizio Graceffa a proposito della rassegna "Liuteria in Concerto", che ha preso il via sabato 3 novembre 2007 a Roma


Il primo appuntamento della manifestazione, organizzata a Roma dall’Associazione “Rosso Rossini” in collaborazione con il “Teatro della Forma”, ha visto protagonista proprio il suo creatore, il M° Francesco Taranto, che si è esibito con le chitarre dei MM. Gianni Norcia e Marco D’Annibale.
Il pubblico, che annoverava tra le sue fila nomi di spicco del panorama chitarristico Europeo, ha potuto godere di una spettacolo fresco ed originale, oltre che di ottima qualità musicale.

Il primo tempo ha visto alternarsi musiche di Mauro Giuliani, Niccolò Paganini (le sonate op. 8 recentemente pubblicate dalla Erom in prima edizione assoluta con revisione dei MM. Scozzafava e Taranto) , Carlo Carfagna e dello stesso Francesco Taranto eseguite in duo col M° Franco Scozzafava al Volino, e la presentazione del brano di Gabriele del Giudice: Preludio su un tema di Bach, edito dalla Erom, che è stato eseguito in prima assoluta dal M° Marco del Greco.

Il secondo tempo ha visto protagonista insieme alla musica la poesia. Paolo Perugini ha declamato versi di alcuni tra i maggiori poeti dal medioevo ai giorni nostri accompagnato dall’accattivante suono del M° Taranto, che si è contraddistinto per la personale ed attraente interpretazione, fra gli altri, del brano “Frammento” di Carlo Carfagna.

Auspico per questa manifestazione, che si propone oltre che di mettere i luce la liuteria italiana, di diffondere cultura, la più grande fortuna, e spero che il prossimo appuntamento soddisfi quanto ci ha soddisfatto il primo.

Fabrizio Graceffa.

Liuteria in Concerto - Foto





Francesco Taranto - grande sonata di Paganini - Andantino

Franco Scozzafava e Francesco Taranto suonano Paganini alla Casanatense

lunedì 12 novembre 2007

Stradivarius presenta "Grimoire" nuovo cd di Michele Dell'Ongaro

Martedì 27 novembre 2007 alle ore 11.30 presso Spazio Tadini via N. Jommelli, 24 – Milano
la casa discografica Stradivarius è lieta di presentare il CD di Michele dall ’Ongaro
Grimoire coordineranno l’incontro Oreste Bossini e Franco Fabbri con la partecipazione di Alvise Vidoline Ex Novo Ensemble

per informazioni:
Stradivarius - tel. 02.25396566/575
email: paolopinto@stradivarius.it

Il CD presenta un’antologia di brani scritti tra il 1990 e il 2004, nove lavori vocali e strumentali
da camera affidati all’esecuzione dell’Ex Novo Ensemble e del Quartetto Arditti, con il
soprano Sonia Visentin e Alvise Vidolin alla regia del suono.
Tra i brani affidati all’esecuzione dell’EX NOVO ENSEMBLE, Grimoire, per soprano, violino ed elettronica, composizione scritta nel 1996 e realizzata al Centro d’informatica musicale Agon,
Danni collaterali (2003) per violoncello solista, clarinetto, violino, viola e pianoforte dove, spiega
l’autore, “il violoncello è certamente protagonista, ma il suo ruolo solistico esita a rivelarsi
nei modi consoni perché continuamente contestato dal tessuto originale”, Trio (1989/90)
per violino, violoncello e pianoforte e Variazioni su nulla (2004) per soprano, flauto, clarinetto,
due violini, viola e violoncello, composizione basata sull’omonima poesia di Ungaretti e su
un frammento tratto da Elogio per un’ombra di Petrassi.
Conclude la monografia l’esecuzione dell’ARDITTI STRING QUARTET di Quartetto n.5 per due
violini, viola e violoncello, composta in occasione della proposta di Luciano Berio per la stagione
da camera 2003-2004 di Santa Cecilia.
Ex Novo Ensemble eseguirà dal vivo alcune composizioni tratte dal CD.

http://it.geocities.com/normanczabo/ComStampaONGARO.pdf

Norman Czabo

domenica 11 novembre 2007

'Liriche cinesi' di Fausto Bottai

Queste osservazioni nascono dalla lettura di due ‘classici’ di poesia cinese tradotta in lingua italiana: si tratta di ‘Liriche cinesi’, a cura di Giorgia Valensin, ed.Einaudi, con prefazione di Eugenio Montale e di ‘Tutte le poesie’ di Mao Tse Tung, ed. Newton Compton, con traduzione di Girolamo Mancuso e prefazione di Alberto Moravia.

Eugenio Montale, a proposito della poesia cinese, afferma: "Nel suo processo interiore e nel suo sviluppo storico, ciò che il nostro mondo occidentale intende per poesia non fa che mirare ad una condizione di arte pura del tutto astratta, in quanto limite, ed irraggiungibile.." Ciò che contraddistinguerebbe in modo saliente la nostra poesia, e la nostra concezione della poesia, da quella orientale, cui di fatto viene contrapposta. Da noi "persiste in ogni espressione scritta a fini estetici un certo dualismo fra suono e significato, tra forma e sostanza", e questo dissidio -fecondissimo- "resta aperto nell'altalena classicismo-romanticismo che è alla base di tutta l'arte occidentale". Un dissidio che non è solo fra epoca ed epoca, ma vive anche nel cuore di ogni singolo artista, fra momenti in cui "le linee tendono ad aprirsi, il significato vaga e si sforza di disfarsi della c.d. forma", e momenti che segnano "un ritorno classico, di piena diffidenza per i significati, per i valori di contenuto". In definitiva è proprio questa continua tensione, questa lotta perenne a determinare, nella nostra cultura, il senso del tempo, della storia.. Se è vero che può accaderci talvolta di riflettere con un profondo senso di disagio all'inutilità di tante rivolte e restaurazioni, è altrettanto vero che questo disagio non arriverà mai a farci cogliere l'orror vacui di un mondo stagnante e privo di determinazioni. Anzi "il nostro mondo è compatto, gremito, abitato da divinità umane che ne rifanno e ne consumano il tempo perpetuamente.." Il tempo è legato all'uomo, è fatto dall'uomo. Per i cinesi non è così. Attraverso secoli, durante i quali si avvicendano flagelli, guerre, carestie, orrori, la poesia si trasmette di generazione in generazione come un fiore di giada e ci parla di un uomo immerso, quasi verrebbe di dire sperduto, in un universo indifferente ed immutabile. Un mondo in cui "il tempo è scandito dal ritmo disumano della natura, dove l'avvicendarsi sempre uguale, inalterabile e senza fine, delle stagioni si accompagna al sentimento malinconico della vanità e caducità di ogni operare umano". Sono parole di Alberto Moravia, da un'altra famosa prefazione a poesie cinesi, quelle di Mao Tse Tung (Newton Compton Ed.). Questo sentimento malinconico, questa predisposizione alla constatazione elegiaca non trova riscontro nella poesia occidentale, nota giustamente Moravia, 'se non risalendo all'epoca in cui il mondo occidentale era unificato in un solo organismo politico-culturale, l'impero romano, fuori dal quale si riteneva che vi fosse solo la barbarie e il nulla'. Il fatto è che le nazioni che per un lungo periodo di tempo sono o credono di essere 'tutto il mondo' mancano di termini di paragone e di ostacoli esterni contro i quali misurarsi e lottare, e di conseguenza sembrano destinate fatalmente a ricadere su se stesse e a sentire la propria civiltà come peritura ed illusoria appunto perché isolata e senza rivali, né eredi. Di qui l'assoluta mancanza di 'storia', di sviluppo, di oscillazioni: il dilemma classicismo-romanticismo, di cui si parlava a proposito dell'arte occidentale, qui non si pone, poiché dei due termini in contrasto i cinesi ne conoscono e riconoscono soltanto uno.. "Così abbiamo una poesia antichissima, durata ininterrottamente tremila anni, che già al momento della massima fioritura, nell'epoca Tang, era arrivata al cliché, allo stereotipo, alla frase fatta.." La tendenza 'conservatrice' della civiltà cinese è impressionante, se si fa mente locale ad alcune date: lo stesso Mao Tse Tung compone poesie usando forme codificate in epoca Tang (618-907) e nell'epoca delle Cinque Dinastie (960-1278). Anche a voler prendere in esame la data più recente, "è come se oggi un poeta italiano, e per giunta di sentimenti rivoluzionari, scrivesse poesie in latino o coi moduli del Dolce Stil Novo".Discorso per assurdo, ovviamente, perché l'instabilità occidentale ha prodotto tante di quelle 'rivolte e restaurazioni' negli ultimi 700 anni che per un occidentale risulta magari inconcepibile scrivere come si scriveva trenta o quarant'anni fa, altro che Dolce Stil Novo... Ma, tornando all'affermazione iniziale di Montale, non è che sono proprio i cinesi più vicini di noi a quel 'limite irraggiungibile' che contraddistingue la 'purezza e l'astrattezza' dell'arte? La poesia cinese, dice ancora Montale, "non è un microcosmo che riveli ed illumini perfettamente l'entità macrocosmica che le ha permesso di formarsi... è invece un insieme di gocce d'acqua che dovrebbero rivelarci un oceano e se ne stanno chiuse nelle loro fiale delicate e sottili". Appunto.

Chi sia curioso di ulteriori notizie su questo stesso argomento può cominciare a consultare i link proposti, per la verità un po' alla rinfusa, qui sotto. Su Internet comunque sono ovviamente citate anche edizioni molto più recenti di quelle di cui si parla nell’articolo, che sono ormai ‘datate’, ma restano, in questo campo, a parere dell’autore, un punto fermo obbligatorio.

Fausto Bottai

Link
http://www.poesiattiva.it/poesia/cina.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Li_Po
http://www.sagarana.it/rivista/numero4/saggio7.html
http://www.filidaquilone.it/num003debiasio.html
http://phemios.net/Recensioni/recensioni_005.htm

Stradivarius vince il Premio Amadeus



Siamo lieti di apprendere che la casa discografica italiana Stradivarius, nota agli appassionati di chitarra classica per la bella collana curata dal Maestro Frederic Zigante, ha vinto il Premio per la migliore produzione dell'anno per la Musica Contemporanea della prestigiosa rivista Amadeus.



Vincitore è il cd "Mixtim" che l'Ensamble Algoritmo con Mario Caroli al flauto ha dedicato alle musiche di Ivan Fedele.




I nostri più sinceri complimenti.




Norman Czabo

sabato 10 novembre 2007

venerdì 9 novembre 2007

Roberto Fabbri a "Domenica in" ore 18.00-19.00 11/11/2007

Siamo lieti di segnalare che la puntata di "Domenica In" del 11-11-2007 sarà dedicata alla chitarra classica. Finalmente dopo anni di snobbismo il nostro strumento preferito ha modo di trovare uno spazio nella televisione di Stato, senza essere relegata ad orari impossibili: il Maestro Pippo Caruso ha deciso di dedicare uno spazio di visibilità nazionale al nostro strumento e ha invitato il Maestro Roberto Fabbri per suonare e parlare della chitarra classica.
L'appuntamento dovrebbe essere domenica pomeriggio, orientativamente intorno alle 18.00 - 18.30 (il condizionale è d'obbligo dato che spesso i tempi televisivi sono suscettibili di variazioni).Nell'occasione si parlerà anche del nuovo libro del Maestro "La storia della Chitarra" edito da Carisch e scritto con Carlo Carfagna e Michele Greci. Il Maestro Fabbri oltre che ad esibirsi come solista suonerà con il quartetto Nexus.

Crediamo che questo momento di visibilità mandato in onda tramite una trasmissione "nazional-popolare" possa aiutare a promuovere il nostro strumento e invogliare le persone ad andare ai concerti e ai festival di chitarra, dimostrando che musica colta, passione e professionismo non sono in contrasto con un pubblico più ampio.

Link: http://www.robertofabbri.com/index.php